Solo i poeti, per quanto magari in modo sghembo, sanno cantare l'uomo normale. L'uomo sommerso di paure, ricordi e fatiche al tramonto dell'esistenza, quand'è stufo marcio delle apparenze e vorrebbe tornasse al centro di tutto, almeno, la dignità di chi non ha mai chinato la testa. «Farà piacere un bel mazzo di rose, e il rumore che fa il cellophane: ma una birra fa gola di più... Tramonta questo giorno in arancione e si gonfia di ricordi che non sai: mi piace restar qui sullo stradone, ah, è impolverato? Se tu vuoi andare, vai! Io sto qui che aspetto Bartali, scalpitando sui miei sandali... Quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali? Quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita... E i francesi ci rispettano, che le palle ancora gli girano, e tu mi fai 'dobbiamo andare al cine', vai al cine... vacci tu!». Già, Bartali. Gino Bartali, emblema dell'uomo normale che crede alle vette solo se ci si arriva col sudore, il mito di un'Italia imbastita di dignità, per gli storici persino colui che assieme a Fausto Coppi evitò la guerra civile sbalordendo anche i francesi al loro Tour. Solo poeti sghembi della canzone come Paolo Conte possono scrivere di certe faccende: celando appena dietro il naso di Bartali la favola dolceamara di una generosa e tenace Italia a misura d'uomo.