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Avvento, l'attesa che apre all'amore

Ermes Ronchi giovedì 27 novembre 2008
I Domenica di Avvento
Anno B

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Avvento è il tempo dell'attesa. Il profeta Isaia apre le pagine di questi giorni come un maestro dell'attesa e del desiderio. Si attende non per una mancanza, ma per una pienezza, una sovrabbondanza. Come fa ogni donna incinta, quando l'attesa non è assenza, ma evento di completezza e di totalità, esperienza amorosa dell'essere uno e dell'essere due al tempo stesso. Il mio avvento è come di donna «in attesa», quando la segreta esultanza del corpo e del cuore deriva da qualcosa che urge e gonfia come un vento misterioso la vela della vita. Attendere con tutto me stesso significa desiderare, «attendere è amare» (Simone Weil). Così io attendo un Signore che già vive e ama in me; ogni persona attende un uomo e un Dio che già sono dentro di lei, ma che hanno sempre da nascere; l'umanità intera porta il Verbo, è gravida di un progetto, custodisce il sogno di tutta la potenzialità dell'umano, l'attesa di mille realizzazioni possibili, porta in sé l'uomo che verrà. Attendere, allora, equivale a vivere. Ma a vivere d'altri. Un doppio rischio incombe su di noi: il «cuore indurito», secondo Isaia (perché lasci che si indurisca il nostro cuore?), e quella che Gesù chiama «una vita addormentata» (vegliate, vigilate, state attenti... che non vi trovi addormentati). Qualcuno ha definito la durezza del cuore e la vita addormentata come «il furto dell'anima» nel nostro contesto culturale. Il furto della profondità, dell'attenzione, il vivere senza mistero, il furto del cuore tenero: è un tempo senza pietà, ci siamo negati al suo abbraccio e siamo avvizziti come foglie. Scrive un poeta: Io vivere vorrei / addormentato / entro il dolce / rumore della vita (Sandro Penna). Io no, voglio vivere vigile a tutto ciò che sale dalla terra o scende, vegliando su tutti gli avventi del mondo: sulle cose che nascono, sulla notte che finisce, sui primi passi della luce, custodendo germogli, e la loro musica interiore. Vivere attenti è il nome dell'avvento. Vivere attese e attenzioni, due parole che derivano dalla medesima radice: tendere verso qualcosa, il muoversi del corpo e del cuore verso Qualcuno che già muove verso di te. Vivere attenti: agli altri, ai loro silenzi, alle loro lacrime e alla profezia; in ascolto dei minimi movimenti che avvengono nella porzione di realtà in cui vivo, e dei grandi sommovimenti della storia. Attento alla Vita che urge, tante volte tradita, ma ogni volta rinata.
(Letture: Isaia 63, 16b-17.19b; 64, 2-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1,3-9; Marco 13, 33-37)