Il disegno di legge costituzionale d’iniziativa popolare che interviene sugli articoli 116 e 117 della Carta ha raggiunto e abbondantemente superato il numero di firme necessarie per poter essere presentato in Parlamento. Migliaia di cittadini hanno voluto sottoscrivere la proposta con un obiettivo prioritario: contrastare i gravi rischi emersi nel percorso di attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni. Il ddl agisce in questo senso non a valle del processo, cioè sul piano dell’applicazione dei due articoli citati, ma correggendone il testo all’origine.
La formulazione attuale è frutto della revisione del titolo V della Carta operata nel 2001. Un’operazione incompiuta e controversa, ricca di spunti interessanti – un sano regionalismo fa parte del Dna della nostra Repubblica – ma viziata da errori che andrebbero sempre evitati in materia di riforme costituzionali: la fretta, la non adeguata ricerca di un consenso il più possibile ampio in Parlamento, un uso strumentale a fini di lotta politica. Così una riforma che il centro-sinistra aveva voluto anche per svuotare il bacino ideologico della Lega di Bossi oggi è diventata paradossalmente il presupposto per l’offensiva autonomistica della Lega di Salvini. Si potrebbe obiettare che siamo in presenza di una forzatura delle norme in vigore. Sarà pure così, ma evidentemente il testo offre margini di ambiguità che prestano il fianco a questi tentativi.
Il ddl (il testo integrale è agevolmente consultabile sul web) agisce in modo chirurgico per disinnescare i rischi più gravi. In questa sede ci soffermiamo in particolare sul procedimento di formazione della legge che concede l’autonomia differenziata. Procedimento che di fatto limita il ruolo del Parlamento al “prendere o lasciare” l’intesa stipulata tra Governo e Regione. Per giunta, tale legge avrebbe caratteristiche tali da rendere arduo, se non impossibile, un eventuale referendum abrogativo. Il ddl prevede invece questa possibilità e introduce anche un referendum analogo a quello previsto dall’articolo 138 per le leggi di revisione costituzionale. Perché siamo davanti a una vistosa contraddizione: con l’autonomia differenziata in versione super si punta a cambiare di fatto la forma dello Stato (il leader della Lega ha più volte dichiarato che alla fine della legislatura l’Italia sarà «federale») e questo obiettivo verrebbe raggiunto senza le garanzie che sono assicurate anche nel caso di piccole modifiche della Carta.
Si può esprimere scetticismo sulla possibilità che il ddl riesca a essere approvato. Per la verità ci sarebbe un precedente ravvicinato di legge costituzionale d’iniziativa popolare giunta al traguardo: quella che lo scorso anno ha reintrodotto il principio d’insularità, che era scomparso proprio in seguito alla riforma del 2001. Ovviamente si tratta di situazioni molto diverse. Tuttavia il ddl sugli articoli 116 e 117 ha il merito di riportare l’attenzione del Parlamento – oltre che dell’opinione pubblica – sulla portata costituzionale del discorso sull’autonomia differenziata. Sarebbe ben strano che, nel momento in cui si parla con disinvoltura anche di modifiche che potrebbero cambiare radicalmente gli assetti istituzionali della Repubblica, fossero ritenute intoccabili le norme introdotte nel 2001. Sono passati 22 anni e, autonomia differenziata a parte, il bilancio di quella riforma è molto problematico.
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