Nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, Giacomo Leopardi (siamo nel 1824, ma verrà pubblicato postumo) individua il nostro difetto nazionale in quella sorta di compiaciuta autoderisione che gli altri popoli non conoscono. Scrive Giacomo: «Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d'altronde con più società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini, perché una società stretta non può durare tra uomini continuamente a deridersi in faccia gli uni e gli altri, a darsi continui segni di scambievole disprezzo». Nella recente edizione del Discorso a cura di Carlo Lancieri (Aragno, pagine 168, euro 12) viene spiegato che per «società stretta» Leopardi intende «quel complesso di valori, forme culturali e di organizzazione, consuetudini, cultura che collega strettamente e organicamente – all'interno di una stessa nazione – il livello medio-alto interno alla società generale». Perché, senza una base morale condivisa, non può reggersi neppure l'ordinamento giuridico, ed è proprio quello che a noi manca, rispetto agli altri popoli. Ancora Giacomo: «Le leggi senza i costumi non bastano, e da altra parte che i costumi dipendono e sono determinati e fondati principalmente e garantiti dalle opinioni». Ancora: «Le altre nazioni civili, cioè principalmente la Francia, l'Inghilterra e la Germania, hanno un principio conservatore della morale e quindi della società, che benché paia minimo, e quasi vile rispetto ai grandi principii morali e d'illusione che si sono perduti, pure è d'un grandissimo effetto». Ed è proprio ciò di cui noi siamo privi. Leopardi l'aveva individuato quasi due secoli fa, e noi siamo ancora qui a interrogarci su tale assenza. Il curatore ha ritenuto opportuno integrare il Discorso con i Detti memorabili di Filippo Ottonieri che è una specie di autobiografia leopardiana con pseudonimo. I Detti sono contemporanei delle Operette morali, e francamente non aggiungono molto alla fama del Leopardi moralista. Lanteri ha premesso all'edizione da lui curata un articolo che Giulio Bollati pubblicò in “Micromega” nel 1987. Mi sfugge il motivo di tale riesumazione, che riguarda i problemi della sinistra, oggi ben diversi, e niente affatto leopardiani. Un'ultima citazione, per apprezzare due parole francesi che Leopardi lascia in originale: raillerie (presa in giro) e persiflage (scherno, che Giacomo scrive con due effe): «La raillerie, il persifflage, cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di conversazione che v'ha in Italia. Chi si distingue in essa è fra noi l'uomo di più mondo, e considerato per superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile e il più alieno dal modo di conversare. In Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuol conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l'offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi» (Giacomo Leopardi, 1824).