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Autobiografia di Martinazzoli. Un breviario per la politica e le istituzioni

Renato Balduzzi giovedì 18 ottobre 2018
È di alcuni giorni fa la presentazione, a Milano, dell'autobiografia di Mino Martinazzoli (Nonostante tutto, Scholé-Morcelliana, a cura di Tino Bino). Casualmente ritrovata tra le carte del suo studio bresciano, è la trascrizione di un'intervista fattagli nel 1993 da Raffaele Crovi, di cui poi l'intervistato non autorizzò la pubblicazione. A distanza di 25 anni dalla dettatura, e di 7 dalla sua morte, il volume ce ne restituisce pienamente la figura. Dentro c'è tutto Martinazzoli: la complessa semplicità della sua oratoria, la tensione etica, la visione del futuro. Tra i fili rossi dell'autobiografia, ne scelgo tre: l'idea di giustizia; l'apporto dei cattolici alla vita pubblica; la nozione di cambiamento e il suo rapporto con la politica. La giustizia. Circa la sua inafferrabilità viene richiamata una frase di Thomas Mann in cui lo scrittore tedesco ragiona (e Martinazzoli chiosa: «con malinconia») sulla coscienza degli uomini e arriva a ipotizzare che fare giustizia è un'operazione in un certo senso impossibile, perché tra i princìpi etici e i comportamenti umani c'è sempre uno scarto. Per Mino, insomma, prima che la razionalità della giustizia, viene il sentimento di giustizia. Circa l'apporto dei cristiano-democratici, egli coglie, già allora, che, essendo andata in crisi l'idea della democrazia come «obbligazione contrattuale» tra cittadini, diventa ancora più importante una cultura politica capace di declinare la solidarietà non come vago sentimentalismo, ma come responsabilità sociale decentrata e insieme partecipata, antidoto contro «la cultura delle divisioni (delle lingue, delle responsabilità amministrative, delle etnie, delle economie, eccetera)» e propone con forza la necessità di un'Europa più forte e autorevole. Il cambiamento. L'autobiografia inizia (non per caso, se pensiamo che siamo nel 1993) con una riflessione su di esso. Per Martinazzoli la parola è ambigua, in quanto di per sé non è detto che il cambiamento sia positivo: «Questo tipo di interpretazione appartiene a culture, come quelle fascista e comunista, trapassate anche tragicamente». Inoltre, aggiunge, troppi «predicano il cambiamento demagogicamente, come se gli errori del passato non li trovassero per niente corresponsabili». Ma nel libro c'è molto altro. Ad esempio – e sono parole che pesano, se dette da uno che è stato ministro della Giustizia, della Difesa e delle Riforme istituzionali –, a proposito delle qualità che deve avere un ministro, Martinazzoli ne elenca tre: «la competenza di settore, la capacità di esprimersi in forme legislative e amministrative, l'attitudine alla sintesi e al comando».
Insomma, un breviario laico (di un cristiano laico) per chi sta dentro la politica e le istituzioni, che si legge d'un fiato.