La crisi che morde ai fianchi imprese e famiglie sta capovolgendo le abitudini di spesa degli italiani. Si torna al passato - o quasi -, si è spinti a pensare alle cose essenziali: vitto, alloggio e discendenza. È questa l'impressione che si trae guardando i numerosi dati che in questi giorni sono circolati sui consumi nel Paese. Un fatto importante, che pone molti interrogativi sul modello di sviluppo che si sta costruendo e che, di fatto, coinvolge in pieno anche l'agricoltura e l'agroalimentare.Stando a quanto fatto rilevare da un'indagine Coldiretti-Swg, per esempio, quasi un italiano su tre (il 30%) ha ridotto, rinunciato o rimandato, l'acquisto dell'auto per risparmiare a favore della spesa per la tavola e per i figli che risultano le due voci di acquisto meno sacrificabili dalle famiglie. Solo il 16% della popolazione, infatti, dopo tutto il resto è arrivato perfino a ridurre oppure a rimandare gli acquistialimentari ed appena il 9% quelli per i propri figli. Oltre a quelli relativi all'automobile, poi, ad essere tagliati sono state acquisti relativi al tempo libero, alla cultura, alle nuove tecnologie.Estremizzando la situazione, parrebbe che il modello di società si stia riportando a quello preponderante qualche decennio fa, quando i bisogni primari erano quelli da soddisfare. Una condizione per molti versi negativa, ma comprensibile nel momento in cui un pieno di benzina vale più di una spesa alimentare per una famiglia media.L'attenzione alla produzione agricola e agroalimentare, quindi, dovrebbe tornare ad essere una delle priorità. Qui, forse, occorre compiere ancora molta strada. L'attenzione c'è, ma non basta ancora, anche se è obiettivamente difficile pensare a nuove politiche agricole che guardino all'impresa in una fase congiunturale in cui i mercati finanziari, il costo del lavoro in generale, l'andamento dell'euro appaiono essere i temi dell'agenda del momento. Intanto, come spesso accade, l'economia reale fa il suo corso. Dopo due anni di continue riduzioni, per esempio, torna ad aumentare il numero di imprese agricole italiane. Stando al registro Movimprese, nel secondo trimestre dell'anno le aperture di nuove aziende hanno superato leggermente le chiusure. Certo, gli osservatori del comparto non si fanno trarre in inganno e hanno classificato questo fenomeno come un "debole segnale positivo". Me è pur sempre un segnale, al quale può aggiungersi un altro fatto: nello stesso periodo l'occupazione agricola parrebbe cresciuta del 10,6% rispetto all'anno precedente, in netta controtendenza con l'andamento generale. Per capire meglio, servirebbe guardare dentro ai numeri per scoprire la natura dei contratti, la "qualità" delle imprese e le loro prospettive di mercato. Ma il segnale che indica una strada positiva rimane tutto. Occorre però essere capaci di percorrerla.