Dodici Cori alla Camera dei deputati cantano assieme l'inno nazionale e poi l'inno d'Europa. Tante voci a formare un solo canto tenuto alto e con forza come a chiedere, a chi userà questi banchi domani: unità, collaborazione, buona volontà, rispetto di quei valori che rendono degna la vita di un popolo. E poi canti di paese, di città, di montagna: gli alpini ci ricordano i giovani morti nel freddo della Russia, ombre di ghiaccio per sempre. Allora un coro piemontese armonizza un'antica ballata dove un conte che ha rubato i daini nel giardino del re viene impiccato, ma con una corda d'oro. Ma subito un piccolo gruppo di donne nel piacevole costume sardo ci fa sentire una ninna nanna di rara bellezza. Ed ecco il coro del Noce che viene da una valle del trentino a offrire il canto accorato di chi lascia la sua valle, le montagne, i boschi, il rumore dei torrenti perché deve andare lontano a cercare lavoro mentre le voci si spengono piano sulle parole: «non tornerò». Ma pensa la corale polifonica di Ercolano a riportare allegria con il loro funiculì, funicolà. E anche questo è un augurio di Natale. Una ricorrenza in cui, in mezzo all'affannata ricerca di regali, a questo bisogno di esteriorità dove si immagina stia racchiusa la felicità, c'è spazio anche per il ricordo della voce di una piccola suora, che nel silenzio di un luogo chiuso al mondo, un giorno con le consorelle ha pregato così: «Se abbiamo sentito più forte in qualche ora la solitudine, se nel nostro lavoro sentiamo l'insicurezza, l'impressione dell'insuccesso, di una fatica inutile sempre da ricominciare; se nell'austerità della nostra vita abbiamo a volte l'impressione di non avere un sasso ove posare il capo... se avanzando nell'età ogni giorno qualcosa di noi si sfoglia e si distrugge, allora andiamo alla grotta di Betlemme. Andiamoci quando ormai gli angeli si sono allontanati nel cielo stellato e i pastori sono ritornati al loro gregge. Andiamoci mentre il freddo, il disagio, la fatica si fanno sentire ai santi abitatori di una povera stalla. Quello è il momento in cui il Bambino è tutto nostro. È lui che ha distribuito sorrisi, carezze e doni a tanti bambini e grandi che hanno bisogno. A noi sa di poter chiedere tutto. Non diremo tante parole, ma se troverà in noi questa povertà, questo distacco da tante piccole e grandi cose, questa disponibilità totale di chi tutti accoglie senza chiedere nulla, allora accetterà nella sua misericordia il nostro dono rinnovato, il nostro impegno sincero. Ci avvicineremo all'altare per dire al Signore che vogliamo essere sempre più povere delle cose e di noi stesse e quello sarà un momento d'amore». Semi di fede lasciati in un convento, semi d'amore lanciati nell'aria per chi vuole raccoglierli in questo Natale un po' più povero degli altri, ma dove, guardando il presepe vediamo che il Bambino c'è ancora.