Nel centenario della nascita di Giorgio Caproni la rivista "Nuova corrente" dedica al poeta il numero 147, a cura del direttore Stefano Verdino e di Luigi Surdich. Oltre agli undici saggi che affrontano altrettante «parole chiave» (Composizione, Deserto, Gerundio assoluto, Fondale, Grafemi, Endecasillabo, Indignazione, Io, Ironia, Mare, Passanti) il numero contiene una pagina dal diario inedito dell'autore che fa sperare in una futura pubblicazione più ampia. La nota introduttiva segnala lo straordinario «fervore di interesse» e l' «intensa attrattiva» che Caproni ha suscitato: «Forse non c'è stato autore della nostra letteratura che negli ultimi venti-trenta anni sia stato, come Caproni, letto e studiato». Si parla di «grandissima attualità» e nello stesso tempo di «problematicità» in particolare dei suoi ultimi libri. È così: la forza di attrazione dell'opera di Caproni cresceva con l'intensificarsi della sua problematicità, sempre più esplicita e radicale. Caproni non sprecava parole, le risparmiava. Non chiedeva al lettore nessuna particolare pazienza e condiscendenza. Il primo a essere impaziente era lui. Impaziente con se stesso, con la scrittura, con le verità che possono rivelarsi o sparire all'improvviso, con un io pensante capace di spogliarsi di ogni peso, estensione e durata, per concentrarsi nel punto geometrico di un assoluto presente. «Essere in disarmonia / con l'epoca (andare / contro i tempi a favore / del tempo) è una nostra mania» .Non saprei dire (nessuno lo sa) chi sia oggi il lettore di poesia, che caratteristiche abbia. Caproni comunque non abusava mai della sua attenzione. Eppure (tecnicamente, in velocità) lo costringeva al massimo di attenzione, restituendogli subito, in cambio, il massimo di significato, di onestà, di gioiosa e perfino giocosa disperazione. È possibile una passionalità fulminea? La passionalità di Caproni era fulminea. Per pudore e perché il tempo della vita gli appariva solo come una fuga di attimi.