Rubriche

Attraverso la preghiera Simone Weil evade dalla prigione dell'io

Alfonso Berardinelli venerdì 24 aprile 2015
Il rapporto di Simone Weil con la preghiera, il suo modo di concepire l'atto di pregare, è al centro della sua esperienza religiosa e cristiana. L'attenzione esclusiva e prolungata è la prima e ineliminabile modalità della preghiera. Poi il lavoro e l'amore senza previsione di ricompensa né speranza. Poi la contemplazione della bellezza, che è tale perché non si può desiderare di modificarla. Infine l'attesa di Dio, il volere la sua volontà, della quale non possiamo sapere nulla perché non è di questo mondo.Il testo più sintetico e concentrato che la Weil abbia scritto sulla preghiera è il commento al Padre nostro, la fondamentale preghiera cristiana, ora riproposto da Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito per l'editore Castelvecchi (pagine 40, euro 7,50).Il commento weiliano è al testo greco, qui riprodotto e interpretato parola per parola. Da quando, nell'estate del 1941, si impose di imparare a memoria e di recitare questa preghiera ogni mattina, la Weil attribuì a un tale atto il valore di un sacramento: «la virtù di questa pratica è straordinaria e ogni volta mi sorprende perché, pur sperimentandola quotidianamente, supera ogni volta le mie attese».Nel suo commento il pregare viene fondato su una consapevolezza costante: «Occorre essere felici di sapere che lui è infinitamente al di fuori della nostra portata». Perciò il nostro desiderio di Dio trascende ogni oggetto terreno di desiderio e ci trasferisce «fuori della prigione dell'io». La presenza del regno di Dio («venga il tuo regno») va invocata senza moventi né scopi particolari, in se stessa e non secondo l'idea che possiamo averne.Il paradosso della preghiera è proprio qui: si chiede l'inevitabile conformità di tutto ciò che avviene nel tempo a una volontà divina che è fuori del tempo. La Weil insiste e spinge fino a un'estrema provocatoria chiarezza e il rapporto di chi prega con Dio: non ci si deve vincolare neppure all'idea della propria salvezza, perché questo attaccamento «è più pericoloso di qualsiasi altro». Il “pane” che viene chiesto vale solo per l'oggi, non è garantito per il futuro: «Il Cristo è il nostro pane. Possiamo chiederlo solo per l'oggi. Lui è infatti sempre lì alla portata della nostra anima, se acconsentiamo entra, se smettiamo di volerlo, immediatamente se ne va».