Le elezioni regionali in Molise hanno confermato, purtroppo, il progressivo calo della partecipazione al voto che si registra ormai da molti anni. L’affluenza alle urne si è fermata al di sotto della soglia emblematica della metà degli aventi diritto: 47,9%. Meno di un elettore su due, insomma, ha deciso di recarsi ai seggi. L’astensionismo è un fenomeno complesso, “multifattoriale” per dirla con gli specialisti. Non può essere ricondotto a un’unica causa, anche se a volte la tentazione di semplificare drasticamente e di imputare gran parte della sua crescita a un’offerta politica inadeguata è forte e non priva di motivazioni. Il “libro bianco” sulla crisi della partecipazione elettorale, elaborato da una commissione di esperti nominata dall’allora ministro delle Riforme D’Incà e presentato nell’aprile dello scorso anno, ha messo tra l’altro in evidenza il peso del cosiddetto “astensionismo involontario”. Un comportamento che dipende non tanto da una scelta consapevole, quanto da “difficoltà e impedimenti materiali a recarsi al seggio”. Magari non impedimenti assoluti ma che tuttavia rappresentano un ostacolo concreto alla partecipazione. È il caso, per esempio, di coloro che studiano o lavorano in una provincia diversa da quella di residenza. Gli elettori in questa situazione sono stimati in 4,9 milioni. Se si considerano soltanto coloro che attraverso la rete stradale impiegherebbero oltre 4 ore per andare al seggio e rientrare, si scende a 1,9 milioni. Comunque un numero molto significativo.
Per questo sin dalla passata legislatura in Parlamento si sono fatte strada delle proposte di legge che consentivano la possibilità di votare materialmente in un luogo diverso da quello di residenza. Poi le elezioni anticipate hanno interrotto l’iter. La questione presenta risvolti delicati soprattutto per le implicazioni relative alla riservatezza e sicurezza del voto. Ma non si tratta certamente di problemi insormontabili, tanto più che già adesso coloro che sono all’estero per motivi di lavoro, studio o cura, per un periodo di almeno tre mesi, possono votare dove si trovano. In un’audizione parlamentare del 2021, il costituzionalista Salvatore Curreri descriveva il paradosso di uno studente calabrese che, trovandosi a Nizza nelle condizioni sopra elencate, avrebbe potuto votare da lì per le politiche, mentre se si fosse trovato a Ventimiglia, a soli 40 km di distanza ma in territorio italiano, avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio per tornare nella sua regione di residenza.
Nella nuova legislatura il percorso delle proposte per il voto a distanza è ripreso alla Camera per iniziativa dei gruppi di opposizione. A un certo punto del dibattito in commissione Affari costituzionali, la maggioranza ha presentato e approvato un emendamento che azzera il lavoro fatto e attribuisce al governo la delega a disciplinare la materia entro 18 mesi. Peraltro una delega così generica da suscitare qualche riserva in termini di costituzionalità. A fine maggio il testo è arrivato in Aula e, di rinvio in rinvio, ora compare nel calendario di Montecitorio per la prossima settimana. Staremo a vedere. Ma appare sempre più improbabile che un’eventuale nuova normativa possa entrare in vigore ed essere operativa per le Europee del prossimo anno.
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