Assedio alle pensioni rosa
Tutto questo ha prodotto una serie di provvedimenti che a cascata ricadono su milioni di lavoratori pubblici e privati. Accade così che le lavoratrici statali vicine alla pensione Inpdap cerchino di sfuggire al laccio della maggiore età. Ricorrono ad una vecchia legge, la 322/1958, che consente di dimettersi appena prima della pensione pubblica e riceverla invece dall'Inps ancora a 60 anni. I "competenti" ministeri si accorgono, solo dopo mesi, di questa scorciatoia che svuota il sistema Inpdap e aggrava invece i bilanci dell'Inps. Pronta la soluzione: la 322 è cancellata. Ma resta ancora per le statali, e per ogni altro impiegato, la possibilità di passare all'Inps cumulando gratis i contributi dello Stato come consente la legge 29/1979. Diventa inevitabile allora cancellare la gratuità di questo cumulo e dallo scorso luglio la legge 29 diventa a pagamento per tutti, senza eccezioni. Nella stretta cadono anche diversi lavoratori privati, uomini e donne, che secondo la propria assicurazione Inps, utilizzavano legittimamente il cumulo gratuito dei contributi. Due categorie non da poco: gli addetti del settore elettrico e quelli del settore telefonico. L'onere da sostenere per la pensione di categoria diventa insostenibile, sindacati e associazioni protestano, invocando, unica via d'uscita, il ripristino delle disposizioni originarie.
Ma non è finita. Perché deve valere per tutte le statali la pensione a 65 anni, mentre per le dipendenti private ancora a 60 anni? Così, complice la situazione finanziaria a
caccia di nuove risorse, è spuntato un piano del Tesoro per elevare la pensione a 65 anni anche alle assicurate dell'Inps. E' un provvedimento che avrebbe visto ugualmente la luce fra diversi anni, ma ricordando la sentenza europea, appare per questo più sgradevole. Curioso è che la vecchia sentenza ha considerato gli statali come lavoratori che svolgono una professione regolata da norme pubbliche. Perché nessuno ha obiettato su una impostazione così estranea alle nostre leggi?