ARRAMPICARSI SUL SICOMORO
C'è tutto Pascal in questa trilogia tratteggiata in uno dei suoi più noti Pensieri, il 257 nell'edizione Brunschvicg. Era da un po' che non proponevo questo grande pensatore e scienziato che amo: lo faccio ora in questo ultimo scampolo di vacanza per molti, perché la quiete è adatta anche a interrogarci sulle questioni capitali e ultime. In questo caso siamo di fronte all'“enigma Dio” che sta lì, grandioso e sublime, davanti a tutti. E qui entrano in scena le tre categorie di Pascal e il suo giudizio deciso e reciso, com'è suo costume. Vorrei sottolineare uno solo della coppia di verbi da lui introdotta, chercher-trouver. Si tratta del “cercare” che, alla fine, risulta il verbo determinante, perché è ovvio che il “trovare” non ha senso se non c'è il “cercare”.
Ebbene, è forse questa la grande “follia”, per usare il termine pascaliano, dominante nel nostro tempo. Il cercare, infatti, è faticoso; esige pazienza, impegno, dedizione. Ma quando si è già distaccati e indifferenti nei confronti delle realtà secondarie e modeste, come si potrà essere votati a valicare pendici aspre per raggiungere vette elevate e nobili? «Se c'è un inferno in terra — scriveva l'autore barocco inglese Robert Burton — esso va cercato nel cuore dell'uomo rassegnato», quello appunto che non cerca e, quindi, non può trovare. Non ha voglia di inerpicarsi lungo le domande fondamentali e preferisce aggrapparsi agli esclamativi dei luoghi comuni, dell'ovvietà, della pubblicità. Bisogna, invece, arrampicarsi almeno sul sicomoro come Zaccheo per riuscire a vedere Cristo che passa.