Era il 30 aprile del 2006 e forse la memoria corta della storia di cuoio ha dimenticato che la cupola di Calciopoli venne scoperchiata dalle colonne di “Avvenire”, grazie alla “denuncia” rilasciata al sottoscritto dall'ex capitano del Siena Stefano Argilli. Alla vigilia di Siena-Juventus, Argilli dichiarò che mezza squadra toscana era composta da creature del vivaio juventino e che il calcio italiano era nelle mani della Gea, la società di procura facente capo alla famiglia Moggi. Pertanto era quasi scontato che la Juve di Capello quella domenica avrebbe “passeggiato” a Siena, tre gol nei primi 8 minuti: scudetto cucito al petto ma poi revocato. I processi sportivi e ordinari hanno stabilito, anche se in modo confuso, che quello del 2006 era un calcio “aggiustato”. Ma chi sta dentro al sistema, «il più omertoso che abbia visto», ha accusato il procuratore Guariniello, difficilmente trova il coraggio di denunciare. Argilli lo fece e pagò con le minacce dei tifosi (gli stessi che chiesero il ritiro della sua maglia, la n.8) e il ripudio dei poteri forti. Ma aveva aperto una via, che poi hanno seguito Fabio Pisacane e Simone Farina: due difensori veri, che quando erano al Lumezzane e al Gubbio hanno trovato il coraggio di denunciare il tentativo di combine. Anche a loro, come Argilli, la verità è costata cara, ma non hanno mai smesso un giorno di camminare a testa alta, fissando in cielo la stella dell'onestà.