Un puro, talmente puro da diventare l'incompreso. Un difensore del “principio”, prima che della sua area di rigore. Questo era e rimane Arcadio Spinozzi, un sano ribelle, il sindacalista del calcio anni '80. Ma a qualcuno non piace il caldo Spinozzi e glie la farà pagare, mettendolo in mezzo a uno dei tanti misteri insoluti di questo strano Paese: la sparizione della 15enne Emanuela Orlandi avvenuta il 22 giugno 1983. Il 18 ottobre dell''83, la settimana della stracittadina con la Roma molti giornali sbatterono il “mostro” laziale in prima pagina, come uno dei complici del rapimento della Orlandi. Scherzo da derby? All'Ansa di Milano il fantomatico “Dragan” di Turkesh (Turchia libera) scriveva: «Emanuela Orlandi è stata uccisa da Aliz e il corpo non sarà mai più ritrovato. Il giocatore Arcadio Spinozzi sa molte cose e conosce Aliz che vuole uccidere me e Mirella Gregori (ragazza rapita quaranta giorni prima di Emanuela)». Una bufala certo, ma quello fu l'inizio di un cammino sempre tutto in salita per Arcadio, braccato dalla diceria degli untori e poi da Moggiopoli. «Non mi sono mai allineato e così mi impedivano di allenare in Italia». Lo chiamano in Ghana, al Kotoko. Appena tre settimane su quella panchina Ashanti, ma da ricordare, «per il calore della gente e dei bambini ghanesi che non hanno niente, ma ti sorridono sempre. E quel sorriso, finalmente mi faceva stare bene».