Una strenna per persone abbastanza colte da godere dei confronti tra storia, arti, filosofia, riguardanti un passato lontano ma con esiti vari e duraturi nel tempo, è il recente saggio di Monica Ferrando Il regno errante, ovvero L'Arcadia come paradigma politico (Neri Pozza, più di seicento pagine). Capita ogni tanto di leggere i saggi di Maurizio Bettini, che studiano un mito antico e ne ripercorrono i cambiamenti, le evoluzioni; l'ultimo, edito in questi giorni da Einaudi, riguarda qualcosa di ancora estremamente vivo, e di storia cristiana e non pagana, Il presepio. Il regno errante è l'opera di una giovane studiosa che viene dalla storia dell'arte, molto preparata, spaziante tra arti e storia, antropologia e filosofia, per introdurci ai significati di un mito che prende il nome da una località reale, una regione greca non così straordinaria come il mito vorrebbe: appunto l'Arcadia. La sua fama viene dall'uso che ne fece Virgilio, immaginandola come un luogo di grande fascino, che ha ispirato pittori e poeti al punto di diventare un po' stucchevole, coi suoi pastori e le sue ninfe ideali, anche se con un controcanto mortale (et in Arcadia ego non è solo il sogno di una cosa). E tuttavia, nel corso dei secoli e attraverso le arti, questa antico luogo di utopia ha continuato a parlare, dice Ferrando, allo spirito dei moderni, o alla sua parte più esigente e più alta, attraverso un altro mito e un altro autore, più antico di Virgilio. Ad averlo fatto è Platone, nel Simposio o Convito, un dialogo con cui tutti gli studenti nel pieno dell'adolescenza dovrebbero confrontarsi e che fa di Diotima, che viene dall'Arcadia, la maestra di Socrate, la portatrice di un messaggio generale e di un modello di eros coniugato non immediatamente al sesso e al possesso, ma piuttosto allo spirito e collegato a un'idea di povertà, di rinuncia come introduzione al divino. Eros e povertà... è una lunga storia sempre nuova. Sono tanti i modi in cui l'Arcadia ha sollecitato l'immaginazione e la riflessione degli artisti e dei filosofi. L'Arcadia, dice Ferrando, «è un luogo mentale che il pensiero ha smarrito». Ed è anche un luogo "politico", una società in cui si vive coscienti della precarietà dell'esistenza, ma nell'amore del pensiero, e dell'incontro tra gli umani, nell'amore dell'amore. Utopia, come Arcadia, è parola femminile e lo si ricava dall'affascinante percorso ricostruito e analizzato in questo saggio, paradossalmente attuale.