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Arance di Sicilia in Giappone

Vittorio Spinelli sabato 13 maggio 2006
Ormai il risultato è stato raggiunto e, nel suo genere, è un gran risultato. Pochi giorni fa, infatti, la prima partita di arance rosse siciliane è trionfalmente sbarcata sui mercati giapponesi. Si tratta di una notizia consolante, non solo per il significato intrinseco, ma anche perché arriva quasi contemporaneamente alle altre notizie - cattive questa volta - sull'andamento del Pil e sul contributo dell'agricoltura. Partiamo dalle arance. L'arrivo in Giappone delle primi 20mila chili di arance, contenuti in appositi container refrigerati, ha tutto il sapore di un traguardo che giunge dopo un cammino iniziato nell'ottobre 2001 e che è stato fitto di ostacoli. A fare da zavorra al lancio degli agrumi siciliani in Asia, sembra siano state le rigide barriere doganali che si sono applicate su tutti gli aspetti della produzione. Fra i problemi principali, a quanto pare, sono stati quelli sanitari e in particolare un insetto diffuso nel bacino del Mediterraneo ma temutissimo
nelle aree geografiche in cui, per natura, è assente. L'uso di tecniche del freddo per neutralizzare il problema ha, alla fine, eliminato gli ultimi ostacoli. E, a questo punto, dopo la chiusura della partita con il Giappone, sembra si siano già fatti avanti altri clienti come l'Australia che ha accettato lo stesso protocollo fitosanitario del Sol Levante. Una vicenda, dunque, che è finita bene e che la dice lunga sulla necessità di intraprendere qualsiasi passo utile per sfondare sui mercati che ancora oggi sono toccati in maniera marginale dal Made in Italy agroalimentare. Anche toccando aspetti tecnici che, in prima battuta, possono apparire lontani da quelli commerciali. è il caso dell'ipotesi esaminata dall'Ue che consente l'uso dei trucioli di legno nella produzione di vino. Una tecnica proibitissima oggi che, se usata, potrebbe avvicinare aromi e gusto del vino normale a quelli particolari ottenuti con ben altri metodi di vinificazione (come l'invecchiamento in barrique) stravolgendo il mercato. La cosiddetta «difesa» dell'agroalimentare nazionale, quindi passa per molte strade ma, in ogni caso, deve essere pronta e veloce ad intervenire non solo per la concorrenza che ci circonda, ma anche vista la situazione del comparto che rimane critica. I dati confortanti sull'andamento del Pil nazionale, diffusi in questi giorni, non corrispondono, infatti, alle prestazioni dell'agricoltura che ha visto diminuire il suo valore aggiunto. Una tendenza che si aggiunge a quella osservata nel 2005 con una produzione scesa del 3,5%, il valore aggiunto calato del 2,2% e i redditi diminuiti del 10,4%. Colpa, dicono gli osservatori, dell'andamento dei mercati, di quello dei prezzi, delle ricorrenti crisi settoriali, della perdurante carenza strutturale. Colpa di tutto e di tutti, quindi, cioè di nessuno. Ma il dato di fondo rimane. Risposte come quella data dagli agrumicoltori siciliani possono aiutare a capire quali strade da qui in avanti debbano essere tentate.