Antigone fra noi
Le madri sperano. Attendono. Poi urlano, come nelle doglie, come se quel figlio lo partorissero di nuovo. Si gettano sul corpo immobile, già fredda la mano che afferrano – come a trascinarlo via, quando era bambino. Quanto dura quel restare avvinti come una volta, quando lui cresceva beato nel ventre? Quando non hanno più lacrime, le madri supplicano: almeno il corpo. Da lavare, da vestire, da accarezzare. Perché ricomposto, ben riavviati i capelli, sembra che dorma. Il suo corpo, perché riposi sotto a una croce. Perché l'assurdità della morte trovi nelle forme del lutto un sentiero, aspro, che il tempo possa medicare. «Almeno il suo corpo».
È Antigone, ancora, 442 avanti Cristo, che contro la legge di Tebe dà sepoltura al fratello. Ma Antigone è sempre fra noi. In ogni guerra, in ogni donna che prega di seppellire un figlio. E con quella pietà combatte, ostinata, la morte. La morte e l'odio, che vorrebbero ridurre gli uomini a cose.