Penso spesso a don Giovanni Bosco. Abbiamo lasciato che a raccontarlo fossero soltanto i salesiani. I quali certo lo devono fare, ci mancherebbe, ma qui siamo di fronte a una figura che va ben oltre la dimensione del santino edificante. A mio avviso dovremmo soffiare nella polvere accumulata sopra le targhe commemorative. Il suo "metodo preventivo", ad esempio, dovrebbe tornare al centro dei corsi di formazione per docenti. Prima che un ragazzo esploda in gesti rabbiosi autolesionistici oppure di bullismo apparentemente immotivato, dovremmo capire da dove viene: chi sono i suoi genitori, com'è cresciuto, in quali luoghi trascorre i pomeriggi, cosa fa insieme ai compagni quando non va a scuola. Attenzione alle semplificazioni sociologiche: anche là dove sembra che tutto funzioni (famiglia irreprensibile, ottimo ceto sociale, buone frequentazioni), può esserci la molla rotta, il problema irrisolto, il trauma nascosto. Il verme dentro la mela.
Detto in estrema sintesi: quale è l'insegnamento più prezioso che possiamo trarre dal grande sacerdote? Andare sul posto. Non restare seduti in cattedra. Scendere in strada. Gettare il cuore oltre l'ostacolo. Diventare amico dei piccoli spazzacamini, come faceva lui a Torino, a Porta Palazzo, oggi vuol dire parlare con gli immigrati.