«David disse: C'è forse ancora qualche superstite della casa di Saul che io possa trattare con la bontà di Dio? Siba rispose al re: Vi è ancora il figlio di Gionata, storpio nei piedi. Il re gli disse: Dov'è? Merib Baal abitò a Gerusalemme, perché mangiava sempre alla tavola del re». Il mondo antico non era tenero con le persone disabili. Ritenute ricettacolo di sanzioni per colpe finanche ereditarie, esse portavano spesso il cupo peso dell'abbandono e del rifiuto, della sofferenza e dell'indifferenza. Forse per questo nei Vangeli i ciechi e gli zoppi i muti e i sordi, sono i veri protagonisti, le persone più prossime a Gesù, gli amici che egli amava e curava, toccandoli con la carezza della mano di Dio. La scena della storia del re David colpisce proprio per questo: la volontà di ammettere alla sua tavola un disabile ha una forza rivoluzionaria. Con quel gesto non solo il re metteva in atto la bontà di Dio, ma riconosceva, allo stesso tempo, la piena dignità umana, sociale, civile di Merib Baal, figlio di Gionata, fisicamente disabile. Fu un atto di amore e civiltà. Un segno bello e ancora importante per le nostre famiglie e le nostre società dove seduti a tavola ci sono Federico, Anna, Salvatore, figli e cittadini. Quanto amore per far sorridere questi angeli.