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Anche il naso ha la sua storia (culturale)

Lisa Ginzburg venerdì 23 febbraio 2024
Si parla pochissimo di olfatto, così come in genere si parla pochissimo degli altri sensi. Fa eccezione la vista, intesa però non tanto come vista rigenerante puntata su orizzonti ampi e vasti, o su dettagli minuti e cruciali; piuttosto, vista concepita nel senso di quella angusta e un po’ ossessiva che ci fa sempre più incollati a decriptare il mondo guardandolo sotto forma di filmati e di video, o impegnati a fotografarlo, gli occhi compulsivamente fissi su
monitor di dispositivi elettronici, siano essi delle più varie dimensioni. Per il resto, vista esclusa, i nostri sensi paiono banditi dalle nostre vite. L’olfatto, in particolare, è pochissimo valorizzato: là dove, al contrario, noi sentiamo moltissimo gli odori, molto più di quanto si usi e si sia in grado di avere contezza. Al lavorìo possente e costante dell’olfatto, centrale e attivissimo tra i cinque sensi, corrisponde tuttavia una preminenza (prominenza, talvolta) dell’organo corrispondente, il naso. Di nasi e di “nasologie” si occupa la storica dell’arte Caro Verbeek (Sul naso. Una storia culturale, traduzione di Marco Cavallo, Il Saggiatore, pagine 228, euro 24,00). Il suo studio prende le mosse proprio da quello iato che separa l’utilizzo del naso e invece la storia anche iconografica di stesso organo: una vicenda lunga, articolata e centrale per comprendere un ampio capitolo di storia non solo artistica, anche culturale. Dal naso rotto con un pugno sferrato in pieno viso al giovane Michelangelo Buonarroti, a quello famoso di Cleopatra, a quello di Dante Alighieri, e a seguire quelli di Napoleone, di Pinocchio e di svariati altri personaggi molto noti, sia reali che immaginari, sono tanti gli esempi di nasi “importanti” dei quali la studiosa olandese ci offre un appassionante racconto, corredandolo di belle illustrazioni. Ugualmente contano certe “nasologie” (tassonomie dei caratteri umani a partire dalle diverse tipologie morfologiche di nasi), e questioni letterarie e pittoriche tutte riguardanti naso e olfatto.
Ciò che a ogni modo più si trattiene da questa densa lettura è la denuncia di un mancato valore attribuito dalla nostra cultura al senso dell’olfatto. “Fiutare” significa anche fiutare la vita, odorare i cibi, le piante, i luoghi, altrettanto che gli altri esseri umani, le loro circostanze, i loro umori. Sentire i profumi così come i cattivi odori è un modo sensato (e sensuale, perché legato all’uso di uno dei sensi) ed efficace per orientarsi, posizionarsi, e così procedere. Perché fiutare è sinonimo di intuire, che ha come conseguenza l’evitarsi errori e altri inciampi. Se lo si tenesse più a mente, forse staremmo meglio al mondo. Un monito , o un memento, la cui attualità riecheggia non solo dalle nostre parti, né soltanto per merito di uno studio accurato come è quello costruito e proposto da Caro Verbeek. In Francia proprio in queste settimane è uscito un libro dal titolo L’appel des odeurs, “Il richiamo degli odori”. Lo ha scritto Ryoko Sekiguchi, autrice giapponese da molti anni residente in Francia
e che da tempo nei suoi libri si occupa dei sensi. Lei anche pone al centro delle sue riflessioni l’olfatto, e nel farlo, scrive, riconosce come “l’odore è estensione della presenza, precede e persegue un’apparizione, offrendoci una visione più romanzesca del mondo”. Odoriamo di più: siamo in potenza dei buoni fiutatori, sapessimo valorizzare questa preziosa, trascurata qualità. © riproduzione riservata