Altro è parlar di morte, altro è morire», ha scritto qualcuno, ed è diventata una frase proverbiale. Non ha invece padri, è saggezza popolare di sempre, un’altra frase sommamente istruttiva, «pancia piena non crede al digiuno», chi è sazio non crede a chi ha fame. Tanti anni fa, l’inventore del reportage realizzato grazie a un camuffamento, il giovane Jack London che si travestiva da miserabile per inchiestare sui miserabili dei peggiori quartieri di Londra (Il popolo dell’abisso) riferì di una vecchia che conosceva, che morì di inedia: su un quotidiano se ne parlò velocemente sotto il titolo “Morta per incuria di sé medesima”. Non è diverso l’atteggiamento di tanti che oggi di fronte al problema della fame nel mondo distolgono lo sguardo per non pensarci, ma, per strana compensazione del loro inconscio, si abbuffano come non mai e parlano di cibo come non mai. È un reportage massiccio e importante quello del buenarense Martín Caparrós in giro per il mondo, che si intitola appunto La fame (Einaudi). Ha attraversato l’India e mezza Africa, l’Argentina e gli Stati Uniti, il Bangladesh e ovviamente la Spagna, il frenetico Caparrós storico saggista romanziere e giornalista, irrefrenabile autore di una moleimpressionante di volumi nei suoi 60 anni di vita, per vedere la fame da vicino e soprattutto per raccontarla. Lo ha mosso la caccia al bestseller o una partecipazione sincera al dolore degli altri, alla fame degli altri? Certamente, come Jack London, dopo aver constatato il dolore e la morte degli affamati, si è concesso pasti sufficienti. La fame è un libro imponente, più di 700 pagine, ed è zeppo di incontri ed episodi impressionanti, di descrizioni partecipi, di aneddoti che non si dimenticheranno facilmente, di considerazioni acute e competenti. E però ne ho letto una buona parte e poi l’ho messo via con una sensazione di troppo e di troppo poco – paradossalmente: di sazietà, e di vergogna. Con la sensazione, che mi è rimasta da quando nei lontani anni Cinquanta, ho visto anch’io, nel nostro Sud, dei bambini morire di fame. No, non credo sia possibile, a pancia piena, capire davvero chi ha la pancia vuota, vecchio o giovane che sia. E soprattutto bambino. Quando parliamo di fame la nostra è, credo, come quella di Caparrós, una moderna forma di retorica. Come rischia diessere retorica l’Expo, con il suo straparlare di cibo per chi di cibo ne ha, e soffre talvolta delle malattie della sovralimentazione, come sono retorica (e pubblicità) certe organizzazioni nazionali e internazionali che si occupano della fame degli altri (e ne vivono, letteralmente, e a volte ci mangiano sopra). Il libro di Caparrós non lo finirò, perché apprezzo di più coloro che si occupano, in giro per il mondo, anche qui, di come resistere e di come lottare, con chi ha fame, per chi ha fame di pane e di giustizia.