Amore e contraddizione Il pudore degli Asti
«E laggiù abita la mia, disse a Ugo l'altra sanguisuga complessata».
«Mi farebbe un grande onore se…».
«Sarebbe anche per me un grande onore…».
«Se questa notte volesse andare a letto con lei…».
«E lei con la mia cara mogliettina…».
Il tono non era più tanto tremante. La proposta risuonava come un ordine. Avevo sentito parlare di pratiche simili presso gli Inuit. Ma si tratta di Paesi molto freddi, dove ci sono pochi mezzi per riscaldarsi. Senza sapere bene il perché, e senza neanche consultarci tra noi, io e fratel Ugo ci avviammo sui sentieri luccicanti che portavano alle mogli dei nostri ospiti. Cercavamo di allontanarci da quegli uomini più che avvicinarci alle loro donne. Bisogna anche dire che altri uomini erano venuti fuori dai tuguri vicini e ci avevano gridato in una specie di eco senza fine: E domani, con la mia. E dopodomani la mia. E la mia fra tre giorni, per cortesia… Le porte designate erano già aperte. All'interno, distesa su cuscini, una giovane donna molto bella mi invitava a raggiungerla. In quel momento, ancora niente di lascivo né di osceno. La sua posa era riservata, come se stesse per sottoporsi a un esame ginecologico necessario alla sua salute, ma offensivo per il suo pudore. Mi voltai verso Ugo che non mostrava nessun segno di scrupolo a procedere con passo spedito:
«Non oserai insozzare il nostro abito? Esclamai mentre i miei occhi ritornavano irresistibilmente verso la bellezza che mi si offriva con tanta modestia».
«Bisogna andare incontro all'altro, mi mormorò con le labbra umide brillanti per il fuoco delle candele che ardevano oltre la soglia. E senza attardarsi oltre, unì l'atto alla parola e richiuse la porta dietro lui».
«Non avevo alcuna voglia di trattenerlo. Che si rotolasse nello stupro! Io sarei restato puro! Richiusi anch'io la porta, ma dall'esterno. Un grido di indignazione subito echeggiò da dentro. Non mi importava. Ero risoluto ad aspettare fuori, pregando il Dio fedele. E per questo sarei stato chiamato, fin dal giorno dopo, debosciato».
«Lontani dal corpo, vicini al cuore», dicono gli Asti. Per essi, l'abbraccio carnale è un abbassamento e uno spodestamento. Lo chiamano: «Scuotere invano le sbarre della prigione». E, stando su un solo piede per limitare il loro rapporto con la terra, aggiungono anche : «L'amore non è un affare di organi». La carne è troppo pesante. Le braccia non riescono a cingere il mistero della donna amata. Per il culto che ne hanno non possono fare con lei ciò che fanno le bestie. Ed è per questo per puritanesimo che gli Asti ti invitano all'orgia. Sposarsi, per un Asto, consiste nel possedere tutte le donne tranne una. Sua moglie è la donna che lui non tocca più. I due mettono su casa in modo da risiedere nel villaggio l'uno il più lontano possibile dall'altra. Il tratto di luce diametrale attesta la loro unione profonda - una separazione a cui si acconsente come all'unica possibilità di idealizzare il coniuge. Per provare la sua fedeltà, per non ingannare la sua eletta, l'Asto ha il dovere di accoppiarsi con tutte le altre donne della tribù secondo un calendario preciso e laborioso. Perché non bisogna figurarselo come un amante felice di avere tante donne. L'atto è degradante. Lo compie come una triste bisogna il cui il piacere è troppo meccanico per non causare vergogna. Dopo di che, egli ha fretta di rimettersi a sognare colei che ama – colei che ama in modo veramente disinteressato.
(12, continua. Traduzione di Ugo Moschella)