Amleto e gli altri: basta Shakespeare, ed è già cinema
I cultori, a dire il vero, hanno un debole per la pellicola che completa la personalissima trilogia del maestro, ovvero il Riccardo III del 1955, tanto più inquietante quanto più incentrata sul fascino dell'eroe negativo. Però Amleto è Amleto, non c'è niente da fare, e a confermarlo sono i quattro premi Oscar attribuiti nel '49 al film, allo stesso Olivier per il ruolo del protagonista e – dettaglio non irrilevante – ai costumi di Roger K. Furse e all'allestimento scenico realizzato dallo stesso Furse in collaborazione con Carmen Dillon. Una delle caratteristiche dello Shakespeare cinematografico di Olivier sta nel conservare sempre una traccia ben riconoscibile, se non addirittura dichiarata, dell'originario impianto teatrale. Anche nell'Enrico V, dove sono più frequenti le scene girate in campo aperto, la suggestione del palcoscenico è sempre in agguato, per non parlare del ricorso strutturale alla messinscena su cui si fonda il Riccardo III, dramma dell'inganno e della delusione.
Amleto esibisce, anche sotto questo profilo, un equilibrio perfetto, che permette di sorvolare su alcune circostanze altrimenti poco convincenti, prima fra tutte l'età di Olivier, che con i suoi quarant'anni compiuti sarebbe ormai fuori parte per il principe danese. Teatrale è il palazzo di Elsinore, tra cui le cui mura affrescate si consuma l'amore disperato di Ofelia, impersonata da una magnetica e giovanissima Jean Simmons. E teatrale è la maschera del Polonio di Felix Aylmer, per non parlare della matronale Gertrude di Eileen Herlie. Il risultato, però, è strepitosamente cinematografico. La scena cruciale del monologo di Amleto ("Essere o non essere") si apre per esempio con una carrellata su una scalinata labirintica e quasi piranesiana, sfocia su un mare in tempesta ripreso dal vero e si sofferma poi sul primo piano del protagonista, che da ultimo si consegna a una foschia suscitata ad arte nella piccola Hollywood insulare dei Pinewood Studios. Non c'è soluzione di continuità fra un'inquadratura e l'altra, e non soltanto perché il carisma di Olivier è tale da tenere soggiogato lo spettatore. Il fatto è che Shakespeare è già cinema, anche senza bisogno di accorgimenti tecnologici. Ma questo, in fondo, lo sapeva anche Montale.