Artisti rivali, di Sebastian Smee (Utet-De Agostini, pagine 352, euro 20,00), è un libro affascinante che analizza «amicizie, tradimenti e rivoluzioni nell'arte moderna». Fino a che punto due artisti possono essere veramente amici, senza che l'emulazione – se non l'invidia – guasti i rapporti? E come valutare il grado di influenza reciproca – il contagio – che inevitabilmente accade? Smee studia quattro coppie di grossi calibri dell'arte tra Otto e Novecento: Henri Matisse e Picasso; Édouard Manet e Edgar Degas; Jackson Pollock e Willem de Kooning; Lucian Freud e Francis Bacon. Ne viene un libro, narrativamente risolto e ben tradotto da Violetta Bellocchio, «sulla flessibilità, sull'intimità e sull'accettazione di un'influenza. È un libro sulla vulnerabilità. Il fatto che certi stati di vulnerabilità siano concentrati all'inizio del percorso di un artista, e che abbiano una durata limitata nel tempo – non sarebbero mai durati, passato un certo momento – è per molti versi il reale argomento del libro». In altre parole, «è un libro sulla seduzione, sulla separazione e sul tradimento». Verso la fine del 1868, Degas dipinse un ritratto dell'amico Manet con sua moglie Suzanne. Manet è disteso sul divano; sulla destra, Suzanne suona il piano. Non si capisce bene se Manet è rapito dalla musica o sonnecchia. Degas era orgoglioso del risultato. Qualche tempo dopo, egli si recò nello studio di Manet e vide che il quadro era stato accoltellato: il volto di Suzanne era stato tagliato, e tutta la parte destra del quadro era mancante. Degas staccò il quadro dalla parete e se lo riportò a casa. Restituì a Manet la piccola natura morta che l'amico gli aveva regalato dopo una cena in cui Degas aveva rotto un'insalatiera di ceramica. Chi, se non Manet stesso, aveva sfregiato il dipinto? Forse perché Suzanne era stata ritratta troppo bella? O troppo brutta? O perché Degas, spietato osservatore di crisi matrimoniali (rimase sempre scapolo), aveva fissato sulla tela il disagio serpeggiante tra Édouard e Suzanne? Sebastian Smee, premio Pulitzer 2011, fece apposta un viaggio in Giappone per vedere quel quadro mutilato, conservato in un mediocre museo a Kitakyushu. Anche se i due pittori, anni dopo, si riappacificarono, l'enigma è rimasto insoluto. Alla morte di Degas, si scoprì che egli aveva conservato, oltre al dipinto sfregiato, altri tre suoi ritratti di Manet, e oltre ottanta opere di Manet, morto trent'anni prima. E che dire del rapporto di rivalità tra Matisse e Picasso? Furono i fratelli Stein – l'immensa Gertrude, la madre di tutte le avanguardie; Léo, collezionista, e Michael con la moglie Sarah – a far incontrare i due. Picasso stava dipingendo il famoso ritratto di Gertrude, ed era intimidito da Matisse, di quindici anni più anziano. Matisse pretendeva una primogenitura artistica rispetto al giovane Picasso, ma era sconcertato e ammirato per la frenetica attività dello spagnolo. E fu Matisse a coniare, involontariamente, il termine “cubismo”, senza mai voler far parte di quella corrente. Un legame fra i due rimase nel ritratto che Matisse dipinse della propria figlia adolescente Marguerite, dal quale Picasso non volle mai separarsi, anche se talvolta lo usò con gli amici come bersaglio per le freccette, senza danneggiarlo; e più tardi Matisse dipinse della stessa Marguerite, ormai ventenne, un ritratto quasi “cubista” che rimase invenduto e che il pittore conservò in famiglia per il resto della sua vita. È ammirevole la penetrazione psicologica, la competenza artistica, la felicità narrativa di Sebastian Smee, che riesce a trovare analogie e riferimenti per orientarsi nella disordinata selva delle correnti artistiche di cui il libro si occupa. A malincuore mi accorgo che lo spazio sta per finire, ma ne sono anche sollevato perché così evito di riferire della relazione anche torbida tra Freud e Bacon, dei quali aborro la pittura, così come sono lieto di sorvolare su Pollock e de Koonig, fenomeni, a mio avviso, più mercantili che artistici.