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Altro che redditometro, il problema è l’evasione

Marco Ferrando domenica 26 maggio 2024
In campagna elettorale, lo sappiamo, vale più o meno tutto. Ma sul redditometro in settimana si è materializzata una delle più grandi bolle di sapone di sempre, con il risultato di alimentare leggende metropolitane e spostare lo sguardo dalla realtà - e urgenza - delle cose. Vale la pena fare un piccolo passo indietro. La settimana si era aperta con la “pagella” del Fondo monetario internazionale all’Italia, un monitoraggio periodico degli economisti dell’organizzazione che non ha nessuna conseguenza pratica ma spesso ha valore segnaletico, anche se - onestamente - si prediligono scenari apocalittici che per fortuna non sempre si manifestano. Sta di fatto che gli esperti di Washington avevano lasciato all’Italia un invito chiaro e tondo ad avviare una strategia di risanamento dei conti pubblici, a cancellare al più presto bonus e incentivi - Superbonus ma anche molto altro, come il taglio del cuneo fiscale - e a puntare su un avanzo primario del 3%, vale a dire a un bilancio pubblico con un solido “utile” al netto degli interessi sul debito. Tra gli osservatori c’è chi ha visto riecheggiare gli avvertimenti lanciati nel 2011, pochi mesi prima della crisi dello spread, ma anche senza arrivare a questi estremi certo dall’Fmi è arrivata la conferma che la crescita in atto, pur meno spompa delle attese, non basta a compensare per i conti dell’Italia gli effetti della riforma del Patto di stabilità e le pesanti eredità del superbonus. Morale: al Tesoro, più prima che poi,
servirà estrarre qualche coniglio dal cilindro per riportare la macchina dei conti in carreggiata. In questi casi il fisco è tra gli osservati speciali, e proprio a quel punto è scoppiata la polemica sul redditometro, misura di controllo anti-evasione ritornata in vigore come da programma con la pubblicazione della norma in Gazzetta ufficiale. Una polemica tutta politica, in buona parte interna alla maggioranza, ma che prescinde totalmente dalla realtà delle cose. Bastano due numeri: su un’evasione media annua stimata tra gli 80 e i 100 miliardi, nel 2022 il redditometro - ha ricostruito Il Sole 24 Ore attraverso i dati della Corte dei conti - è stato “sfoderato” dall’Agenzia delle Entrate su 3mila contribuenti in aria di irregolarità
(su 41 milioni di potenziali destinatari) e ha consentito di accertare circa 350mila euro di tasse non pagate, che magari poi non sono manco state recuperate. Eccolo qui, il famigerato redditometro, che non caso il responsabile delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha pacatamente definito «uno strumento residuale», peraltro - aggiungiamo noi - molto meno sofisticato e potenzialmente invasivo di quelli previsti dalla riforma fiscale in fase di attuazione, che prevede il ricorso a miniere di banche dati finora sottoutilizzate. Perché il punto vero sono gli 80-100 miliardi di “buco” a cui lo Stato non può più mettersi di rinunciare, molto più degli strumenti che si utilizzano per andare a trovarli. L’esperienza del redditometro, finito ai margini ben prima che venisse apparentemente riesumato, insegna che i consumi non sono la pista più efficace per ricostruire le reali attività dei contribuenti, e quindi scovare eventuali forme di evasione. Diversi esperti suggeriscono di passare dai patrimoni, reali e finanziari, più facili da mappare e da confrontare con il tenore di vita che finisce in dichiarazione dei redditi e su cui si pagano le tasse. Scoppiata la bolla di sapone del redditometro, però, chissà se qualcuno avrà ancora voglia di tirare in ballo o anche solo sentir parlare di nuove operazioni verità sul fisco. © riproduzione riservata