Altro che algoritmi, sui social il nemico è il nostro cervello
Chiamateli «errori di valutazione». Oppure «falle mentali». Il loro termine reale è «bias cognitivi». Abitano nel cervello di ognuno di noi. Sono "malfunzionamenti" che ci portano a errori di valutazione e/o alla mancanza di oggettività di giudizio. Per essere ancora più chiari: i «bias cognitivi» rappresentano il modo con cui il nostro cervello distorce la realtà.
Ce ne sono a decine. Molti dei quali spiegano alla perfezione il perché di alcuni comportamenti su social e web. Altro che algoritmi, computer e strapotere di Facebook. Il primo problema siamo noi. Anzi, il primo problema è dentro di noi. Nelle nostre teste.
Uno dei «bias» più gettonati in Rete è quello cosiddetto «del pavone», che ci spinge a condividere maggiormente i nostri successi, rispetto ai nostri fallimenti. A fotografarci, magari con un «selfie», in situazioni belle e vincenti. Durante vacanze incredibili, feste meravigliose o accanto a personaggi importanti. Facciamo i pavoni per nascondere e/o scappare dalla realtà. Che spesso è molto meno luccicante.
Un altro «bias» molto attivo sui social è il «bias di conferma». È quello che ci spinge a dare maggiore rilevanza alle sole informazioni in grado di confermare la nostra tesi iniziale (o il nostro pregiudizio), ignorando o sminuendo quelle che la contraddicono. «Se abilmente sfruttato – come spiega bene Wikipedia – è uno strumento di potere sociale, in quanto può portare un individuo o un gruppo a negare o corroborare una tesi voluta, anche quando falsa».
Suo stretto parente è il «bias della scelta»: è quello che ci spinge a razionalizzare le nostre scelte anche quando le abbiamo fatte in maniera impulsiva o sulla base di gravi lacune. Insomma, grazie a lui, ci inventiamo qualsiasi scusa per convincerci che non abbiamo sbagliato. E che dire dell'«Effetto struzzo» (ostrich effect)? Se il «confirmation bias» ci spinge a dare più importanza alle informazioni che sostengono la nostra tesi o il nostro pregiudizio, l'«effetto struzzo» è quello che ci fa snobbare e/o «non vedere» chi ci presenta dati che contrastano con le nostre convinzioni.
Il «bias del carro della banda musicale» (bandwagon bias) ha un nome strano ma spiegarlo è semplice. È quello che ci spinge a sviluppare una convinzione, non basandoci tanto sul fatto che sia vera, quanto piuttosto in relazione al numero di altre persone che la condividono. Per la serie: se tutti la pensano così, anch'io non posso non pensarla così.
Un altro «bias» particolarmente attivo sui social è quello dell'«euristica della disponibilità (availability heuristic)» che ci fa sovrastimare le informazioni a nostra disposizione. La più tipica: «non è vero che c'è la crisi, guarda quante macchine ci sono al casello». Come se una coda di macchine a un casello fosse un dato statistico valido. Suo stretto parente è il «bias dell'ordine di grandezza». È quello che quasi sempre ci fa sbagliare le stime numeriche anche quando siamo in perfetta buona fede.
Il «Bias della negatività» è invece quello che ci fa dare sempre maggior peso agli aspetti negativi rispetto a quelli positivi. Un altro «bias» particolarmente presente sui social è quello «dell'effetto dell'informazione errata». Spiegato in maniera semplice (spero non banale): se a una persona viene data un'informazione errata prima del richiamo di un evento, questa modificherà nel soggetto il ricordo dell'evento facendolo tendere e/o coincidere con l'informazione errata.
Come accennato, esistono moltissimi «bias». E spesso vengono usati dal marketing come dalla propaganda politica per convincerci a fare e/o pensare cosa o come vuole qualcun altro. Il tutto sfruttando i nostri «errori cognitivi».