Alternanza scuola-lavoro tagliata, errore poco tedesco
Un dato per tutti: in un Paese come l'Italia che ha tassi di disoccupazione particolarmente alti per le generazioni dai 15 ai 35 anni, oggi il 33% delle professionalità tecniche richieste dalle aziende risulta "introvabile". Mancano, tra gli altri, operai specializzati, meccanici, montatori, elettronici-elettrotecnici, specialisti delle costruzioni. E alla base di questo mismatch, di questa discrepanza, c'è proprio un sistema formativo che non dialoga adeguatamente con il mondo del lavoro, sia a livello di scuole superiori che di Università: emblematico il fatto che solo il 24% degli studenti si iscriva dopo la maturità a una delle facoltà scientifiche, che pure nei prossimi 10 anni rappresenteranno l'85% dei posti di lavoro disponibili sul mercato.
Non ha senso, dunque, tornare indietro sulla strada dell'alternanza scuola-lavoro, che possiamo considerare il più grande esperimento sociale che la scuola italiana abbia mai conosciuto nella storia e coinvolge attualmente circa un milione e mezzo di studenti. L'alternanza è anche, anzi soprattutto, un efficace strumento di inclusione sociale e di prevenzione dell'emarginazione giovanile, decisivo in contesti degradati culturalmente e arretrati sul piano economico. Del resto sono noti i risultati della Duale Ausbildung, la formazione duale tedesca, considerato il modello di riferimento a livello internazionale nel settore dell'alternanza scuola-lavoro: ogni anno forma quasi 1,5 milioni di giovani tedeschi garantendo loro un tasso di collocamento finale semplicemente straordinario, pari al 95%.
C'è da augurarsi, dunque, che nel passaggio parlamentare sia possibile rimediare a questo errore, almeno per istituti tecnici e scuole professionali. Per evitare che una decisione che sembrerebbe maturata su basi ideologiche, senza una preventiva verifica dei dati e delle esigenze, possa ridurre ulteriormente le chances di trovare un'occupazione dei nostri ragazzi e minare la competitività della nostra industria manifatturiera. Sapendo che tornare indietro rispetto a una decisione sbagliata, prima che sia effettiva, può essere uno dei modi più intelligenti per cambiare il Paese.
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