«Se a ciascun l'interno affanno si leggesse in fronte scritto... tutti quei che a piedi vanno andrebbero in landò». Ma cosa è, chiedevo allo zio che si divertiva a farmi degli scherzi. Ed egli mi rispondeva senza dare altre spiegazioni: «Metà - Stasio (con l'accento sulla i) e metà mio». Oggi verrebbe la tentazione di applicare questa preoccupazione ai capi di partito che vengono chiamati uno per uno dal Presidente della Repubblica. Dovrebbe essere una confessione sincera del programma che ogni movimento, in collaborazione con altri o solo, intende proporre per il nuovo governo degli italiani. Siamo noi l'argomento in discussione, la nostra vita, il futuro dei nostri figli e forse ci accorgiamo di aver votato un nome o un gruppo tanto per fare numero vincente a chi ci aveva offerto, a parole un futuro che sembrava migliore del nostro presente. Ma questa è la regola delle democrazie e la loro sicurezza. Compito più grave è quello del Presidente che deve saper scegliere tra le possibilità reali, le parole di verità e le intenzioni positive degli offerenti. E ricordo i governi, le dimissioni, la rielezione continua alla presidenza del Consiglio che alla fine di ogni votazione andava sempre nelle mani di mio padre. Rammento non la soddisfazione, ma la fatica di insegnare a difendere le leggi della democrazia sempre contestata dai partiti della sinistra di allora. Ricordo le grandi piazze delle città d'Italia piene fino all'inverosimile di gente che voleva ascoltare le parole, i programmi che il Presidente del Consiglio allora proponeva alle forze finalmente libere del popolo italiano. La presenza di tanta gente dava allora l'impressione che i governi fossero veramente espressione libera di gran parte di questo popolo che aveva sofferto una guerra per poter gridare a voce alta il diritto alla libertà. Oggi quando mi chiamano nelle scuole a descrivere la nostra storia tanto combattuta e conquistata al diritto di voto e di partecipazione personale, a volte mi angoscia la fine del mio discorso quando vorrei saper aprire a questi giovani quanto anche oggi sia necessario il loro coraggio, la voglia di credere nella bontà delle regole democratiche, e soprattutto che la politica non deve essere scelta come una carriera, ma come un apporto positivo e di bene per quella parte di popolo che le ha affidato i suoi giorni. Oggi più che mai mi sembra necessaria una nuova rinascita di quella vecchia scuola che non pensava al proprio interesse, ma al bene comune. Ho visto più di una volta accettare con serenità la fine del proprio lavoro in qualità di ministro, quando veniva richiesto a un equilibrio politico tra i vari partiti. Forse allora le vanità erano battute dalle necessità di un popolo che appena iniziava una vita nuova. Come sempre la sofferenza subita da infine una fioritura di maggiore attenzione sia nel mondo personale come in quello della comunità. Così ci auguriamo che i nuovi eletti affrontino le realtà di oggi tenendo presente che il mondo, oggi più presente di allora, ci guarda con speranza e nuova fiducia.