Non mi piacciono i festeggiamenti già iniziati per il 18° scudetto del Milan, così come in genere non mi rallegrano i campionati che finiscono anzitempo, sfilacciati, lasciando le emozioni soltanto in coda, come se si giocasse non per la conquista del tricolore ma per la sopravvivenza. Ma forse è proprio così: il campionato sopravvive a se stesso, onusto non di gloria ma di debiti e di povertà tecnica. Quando nel Venti, Gabriele D'Annunzio s'inventò quel pezzetto di stoffa tricolore per onorare il vincitore del pallone (lo utilizzò per prima la Fiumana, per la Lega il primo a indossare lo scudetto fu il Bologna, nel 1925) l'accompagnava con toni ovviamente eroici come se cantasse un'impresa omerica. Oggi si chiede a Fabio Capello di commentare - molto prosaicamente, com'è da lui - l'onesta impresa di Allegri che ha visto domenica scorsa il Milan giocare - e vincere - una partita esemplare della sua stagione: i rossoneri hanno sconfitto il povero orgoglioso Bologna con un gollotto del difensore Flamini e per l'indifferenza dell'arbitro davanti a certi discutibili episodi. Tutto qui. E festeggiano con largo anticipo, a dispetto del buon gusto (sportivo) e di un precedente beffardo, quello che nella fatal Verona gli costò lo scudetto della stella. Non credo di esagerare, visto che Silvio Berlusconi - caricatissimo dal prossimo e ormai inevitabile evento - vede nella vittoria del Milan due opzioni speciali oltre ai tradizionali motivi di gioia: 1) alle prossime elezioni molti milanisti in passato "raffreddati" torneranno a votare per lui; 2) a tempo debito (ehm ehm) gli piacerebbe che lo Stadio di San Siro dedicato a Peppin Meazza portasse il suo nome perchè - ha detto - se lo meriterebbe, visto che il Real ha dedicato il suo stadio a Bernabeu e lui, il Cavalier, ha vinto più trofei di Don Santiago. Per carità, come negargli la soddisfazione postuma già toccata a Renato Dall'Ara, Angelo Massimino, Renzo Barbera, Artemio Franchi e ad altri illustri presidenti, ma il riferimento a Bernabeu vuol dire altro, vuol dire sicuramente che l'intestazione dello stadio Berlusconi la vorrebbe in vita. Così fu per il grande Santiago che ebbi il piacere di conoscere e col quale m'intrattenni come se fossi non fortunato interlocutore di un uomo famoso ma a tu per tu con la Storia: il vecchio stadio Chamartin di Madrid gli fu dedicato nel 1953, a cinquantott'anni, prima che il suo Real conquistasse plurime ed esaltanti vittorie. Era diventato presidente nel 1943, per volontà del Caudillo Francisco Franco, e certo era oggetto di un forte culto della personalità, ma la dedica dello stadio a Bernabeu toccò soprattutto perchè prima, da ottimo calciatore, aveva vinto quindici campionati. Ai quali aggiunse - prima di morire, nel '78 - sedici titoli nazionali, sei Coppe di Spagna, sei Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale. Non son D'Annunzio, ahimè, ma ne canto la gloria. Come posso.