All'Empire State Building il processo a Pilato secondo Saracino
Dopo tanti anni si affaccia oggi con due piccoli libri editi da Archintos (Castellaneta), in cui apparentemente Donizetti non c'entra, c'entra invece lo spessore culturale del donizettologo Saracino che apre in pubblico uno spiraglio sulla sua coerenza di cristiano.
Il primo libro si intitola Soliloqui, ed è una meditazione sul Credo attraverso l'angolazione delle tre virtù teologali: la Fede, da «In un solo Dio» a «Di tutte le cose visibili e invisibili»; la Speranza, fino a «E il suo regno non avrà mai fine»; la Carità, fino all'«Amen» conclusivo. La ragione del libro è chiara e profonda: «Ho voluto riflettere sul Credo e, per prima cosa, sono stato colpito dalla sua "singolarità". È la sola formula della quotidianità liturgica che invita a esprimersi al singolare e non, come la generalità dei testi liturgici, nella prima persona plurale, dove c'è una comunità intera che prega, mi son detto. Nella confessione della fede cristiana sono invece chiamato io, e io solo». Già da qui si intuisce il tono personalissimo di questi «piccoli monologhi dell'anima», dedicati alle carmelitane di via Rucellai, a Firenze.
L'altro libro, Jerushalajim e dintorni, raccoglie una decina di racconti brevi, d'argomento biblico. Ma il primo descrive una riunione di alti esponenti ebraici al ventiquattresimo piano dell'Empire State Building di New York per prendere la decisione di processare, dopo duemila anni, Ponzio Pilato, che con quel suo essersi lavato le mani ha fatto ricadere sul popolo ebraico la responsabilità della crocifissione di Gesù. Seguiranno altrove altri due incontri tra esponenti giudaici e monsignori romani, ma la conclusione tratta da Giuda di Kiriat sarà un nulla di fatto: «Non servirà la damnatio memoriae a cui vorrete condannare il nome di Ponzio Pilato. Egli continuerà a vivere accanto al nome del filosofo e profeta nazareno. Instrigabilmente congiunti per l'eternità. Jeshua continuerà a tacere alla domanda del procuratore romano cos'è la verità? Pilato non si lascerà mai convincere della mancata risposta, nemmeno innanzi a un vuoto sepolcro, per poter proseguire nel tempo quel loro segreto e silenzioso dialogare».
Ci sono le lettere del centurione Lucio Rufo, testimone occasionale e stupefatto della nascita del Redentore a Betlemme; c'è una ricostruzione poeticissima delle Nozze di Cana, secondo la visuale della sposa; c'è la Samaritana che non cancella il ricordo di chi, presso il pozzo di Giacobbe, le chiese da bere; ci sono due vecchi che, tanto tempo prima, avevano partecipato alla moltiplicazione dei pani e che forse hanno intuito il significato delle beatitudini; c'è il Cireneo con la sua tremenda cervicale che rimane conquistato dallo sguardo di Gesù. Il commento alle sette parole di Cristo in Croce è fatto in prima persona, e Il centurione in fuga è un singolare radiodramma in 15 minuti. Nell'ultimo racconto, la storia dei discepoli di Emmaus (che per Saracino sono Kleopàs e sua moglie) si mescola al rimpianto del fratello Ippolito, dedicatario del libretto, scomparso da due lustri.
Alti pensieri, sinuosa e sorvegliata scrittura. A conferma che l'arte vera è anonima, l'autore si presenta così: «Sono nato in Puglia, non importa quando non importa dove. Ho vagabondato parecchio. Ho scritto tanto, ma di più ho letto per mia personale curiosità. Morirò da qualche parte, non importa dove, non importa quando...».