È stato solo un sogno, ma la tua faccia in quell’istante di sogno continua a tornarmi in mente, e sono passati anni.
Era mattino presto, io ancora sonnecchiavo: il figlio maggiore è entrato in camera a salutarmi prima di andare a scuola. Poi devo essermi riaddormentata. E in quei pochi secondi, prima che passasse la figlia più piccola, sei arrivata tu. Non poteva essere che un sogno, come ho detto. Il fatto è che ti ho vista accanto a me, in piedi vicina al letto, come fossi lì realmente. Portavi la vestaglia rosa chiaro che usavi negli ultimi tuoi anni, sbiadita da tanti lavaggi, serrata con la cintura in vita, così che si notava quanto magra eri. Avevi i tuoi fragili capelli chiari spettinati, come appena alzata dal letto.
La tua faccia di quell’attimo mi è ancora davanti: pallida come sempre, i lineamenti fini, gli occhi grandi e scuri. Ma nei tuoi occhi ho visto una timida ma disperata domanda: «Abbracciami, ti prego». Colpita al cuore io l’avrei fatto, ma mi è salita da dentro la paura: come puoi essere qui tu, dieci anni dopo la tua morte? E, sciocca, ho esitato.
Allora il sogno di colpo è finito, e subito è entrata a darmi un bacio Caterina, lo zaino sulle spalle. Quel tuo comparire fra un figlio e l’altra mi ha turbato. Un sogno, ovvio: quanto però parevi viva.
Da anni ti ripeto: torna. Ma, nulla. Non vieni più.
E che rimpianto ho, di quell’abbraccio mancato.
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