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Aline, la scuola di pace nell’inferno del Congo

Antonella Mariani giovedì 23 maggio 2024

Gedeon aveva 10 anni quando è arrivato. Piangeva, si rannicchiava in un angolo e non parlava con nessuno. Aline non capiva perché, poi un po’ alla volta ha conquistato la sua fiducia, gli faceva compagnia durante la ricreazione, svolgevano insieme i compiti. Ha creato una relazione. Giorno dopo giorno Gedeon si è aperto con Aline. E lei infine ha capito. Il piccolo non sapeva esprimere il suo male di vivere perché a casa, nel campo per i profughi di guerra in cui abitava, nessuno lo considerava: la madre, analfabeta, era troppo occupata a sopravvivere e a far sopravvivere la famiglia, il padre non si sapeva nemmeno chi fosse. «Adesso Gedeon è un altro bambino: gioca, sorride, non piange più».

Aline Minani Furaha, 35 anni, è la direttrice della Scuola di pace Floribert Bwana Chui, gestita dalla Comunità di Sant’Egidio fuori della città di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. Il cuore dell’inferno, si direbbe: i ribelli del movimento M3, di etnia tutsi, supportati dal vicino Ruanda, da inizio anno hanno avviato una nuova avanzata nell’est del Paese con l’intenzione di occupare Goma, città chiave della regione del Nord Kivu. I miliziani stanno cacciando i civili, massacrandoli per poi sfruttare il ricco sottosuolo e aprire vie dirette di passaggio con il Ruanda. Aline ha iniziato nella Comunità di Sant’Egidio come volontaria 14 anni fa, nella Scuola di pace, e lì è rimasta. Oggi di anni ne ha 35, una laurea in Studi Sociali, i capelli stretti in treccine sottili e un sorriso aperto, velato da malinconia.

Aline con i suoi bambini nella scuola di Goma - .

Aline, perché ha scelto di stare accanto ai piccoli profughi e alle vittime delle guerre? «Ciò che mi ha spinto sono state le lacrime e la preghiera – risponde ad Avvenire durante una videochiamata su WhatsApp -. Mi sono sentita responsabile della situazione del mio Paese e ho avvertito il dovere di agire. Se fossi restata senza fare nulla mi sarei sentita in qualche modo complice del male. È così che si salvano le vite, mi disse una volta il cardinale Matteo Zuppi. E quando salvi una vita, si salva un mondo». La scuola Floribert Bwana Chui è intitolata a un giovane commissario di dogana di Goma, appartenente alla Comunità di Sant’Egidio, torturato e ucciso nelle 2007 perché non si era fatto corrompere e aveva bloccato il passaggio di riso avariato destinato alla popolazione. La struttura oggi accoglie 1.200 bambini e ragazzi dai 6 ai 15 anni. «Quasi tutti arrivano da Mugunga», continua Aline, uno dei campi profughi sorti intorno a Goma come conseguenza delle incursioni dei guerriglieri che fanno piazza pulita nei villaggi per saccheggiare il prezioso coltan dalle terre congolesi.

La situazione è rischiosa per Aline e per il suo staff. Le scuole nell’area di confine tra Congo e Ruanda sono diventate un tragico obiettivo strategico: le milizie le distruggono sistematicamente, per poter reclutare i bambini nella guerra e nel lavoro clandestino nelle miniere. Sono più di 150 gli edifici scolastici distrutti e occupati in questi mesi. Non ha paura, la giovane direttrice dagli occhi grandi? «Oggi intorno a Mugunga sono esplose 35 bombe – risponde Aline -: ma non posso permettermi la paura. I bambini che frequentano la Floribert Bwana Chui vengono dalla guerra e dalla violenza, sono traumatizzati. Il mio compito non è impartire un’educazione formale, ma insegnare loro a stare insieme, a assaporare per la prima volta uno spirito di comunità. Arrivano qui e sono così tristi che non riescono nemmeno a giocare. Ecco, noi proviamo a ridare loro l’infanzia, con tanta pazienza».

La Scuola della pace di Sant'Egidio a Goma - .

È quello che ha raccontato anche al Papa, portandogli in dono a Kinshasa, in occasione della visita nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan all’inizio di febbraio 2023, i disegni dei suoi alunni della Scuola di Sant’Egidio. «Sono bambini che desiderano la pace», disse allora al Papa. Non è facile restare saldi in mezzo a tanta sofferenza. Aline vive con la sua grande famiglia, i genitori e 7 tra fratelli e sorelle. Questo le dà forza, ma soprattutto «è l’amore e il sogno della pace e della convivenza che mi incoraggiano ogni giorno ad andare avanti. Io so che questa è l’unica strada per costruire la pace: a partire dai bambini».© riproduzione riservata