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Alimenti, il nuovo rischio cinese

Andrea Zaghi sabato 27 febbraio 2010
La Cina presto potrebbe copiare gran parte dei prodotti agroalimentari italiani e mondiali. È la strategia che " se confermata " rischia seriamente di mettere in ginocchio alcune delle produzioni di spicco del settore, seminando, oltre tutto, ulteriore confusione nei mercati alimentari. A sollevare l'allarme sul nuovo «rischio Cina», è stata ieri la Confagricoltura che ha spiegato come questo Paese stia facendo incetta di genomi (cioè di materiali genetici) in giro per il mondo. L'obiettivo, secondo l'associazione, è chiaro: decodificare il genoma di un organismo significa comprenderne i segreti più profondi, porre le basi per la ricerca applicata, acquisire un vantaggio tecnologico e conoscitivo sulla concorrenza. Per capire di più, basta sapere che il Beijing Genomic Institute, cioè il principale centro cinese di ricerca, ha da poco annunciato di voler sequenziare 1000 genomi (500 animali e 500 vegetali) nei prossimi due anni con un finanziamento statale di 100 milioni di dollari. Cosa ci aspetta? Una volta in possesso del corredo genetico dei prodotti tipici, è sufficiente individuare il microclima ideale e adottare le tecniche di produzione giuste per «copiare scientificamente» il meglio del nostro agroalimentare, con conseguenze in termini commerciali e di sicurezza alimentare.
Non è una prospettiva allettante, soprattutto tenendo conto dell'andamento poco entusiasmante dei bilanci delle imprese agricole italiane. Secondo i dati diffusi in questi ultimi giorni dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori (che ha celebrato la sua assemblea annuale), nel 2009 trentamila imprese sono state costrette a cessare l'attività, la produzione è diminuita del 3,8%, così come gli investimenti, mentre il valore aggiunto è crollato del 5,2% e i prezzi addirittura del 13,5%. Un insieme esplosivo di condizioni che avrebbero tagliato del 25,3% i redditi dei produttori agricoli che hanno dovuto rispondere a costi di produzione cresciuti dell'8,5%. Tutto senza contare le perdite miliardarie provocate proprio dal mercato dei "falsi" prodotti alimentari italiani.
È chiaro che di fronte a una situazione di questo genere, occorre che tutti si rimbocchino le maniche, mettendo da parte gli ancora troppo presenti campanilismi e guardando da vicino a soluzioni concrete. A partire, perché no, dalla ricerca scientifica e tecnologica, ma passando per la riformulazione delle filiere di produzione-trasformazione-distribuzione. Da questo punto di vista, l'andamento dei prezzi alla produzione a gennaio è un segno inequivocabile di come stanno andando le cose. Secondo Coldiretti, i prezzi dei prodotti agricoli in campagna si sono ridotti del 6,1% con cali record per i vini che perdono il 13,9%, seguiti dalla frutta fresca e secca (-12,5%), dagli ortaggi e legumi (-9,1%), dai cereali (-3,9%). Scienza, tecnologia e strategie commerciali, dunque, possono essere gli elementi vincenti per l'agroalimentare del Paese. A patto che si sappia usare con saggezza queste leve.