L'agroalimentare nazionale vive un periodo contraddittorio. Riscoperto il suo ruolo strategico, colleziona primati nel mondo, ma incassa anche sonore sconfitte. Da un lato, pare che la dieta mediterranea stravinca nel confronto con le altre: nel 2020 le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani sono cresciute del 9%. Lo hanno evidenziato i coltivatori diretti analizzando i dati Istat relativi ai primi dieci mesi dello scorso anno. In prima fila, sono state le vendite oltre confine di conserve di pomodoro (+17%), pasta (+16%), olio di oliva (+5%) e frutta e verdura (+5%) che hanno raggiunto in valore il massimo di sempre, sempre secondo l'analisi della Coldiretti. A spingere in alto le vendite dell'agroalimentare dello Stivale, una sorta di cambio delle abitudini alimentari (si cercano sempre di più alimenti salutistici), ma anche la pandemia di Covid-19 che avrebbe spinto verso un ritorno dell'attenzione dei consumatori verso alcuni alimenti piuttosto che altri. Dall'altro lato, tuttavia, nello stesso periodo sembra che le esportazioni di vini italiani siano crollate del 6% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Se questa tendenza fosse confermata per tutto lo scorso anno, ha detto Ismea, il 2020 potrebbe chiudersi con 20,8 milioni di ettolitri spediti oltre frontiera, per un controvalore di 6,2 miliardi di fatturato. Certo, nel 2019 si era raggiunto l'importo da primato di 6,4 miliardi: le esportazioni più basse nell'anno della pandemia sono comunque già un successo. Ma il calo di vendite all'estero non deve essere sottovalutato. Ma quindi che fare? Soluzioni e ricette semplici non ve ne sono di certo. Da una parte l'agroalimentare nostrano ha dimostrato tutta la sua capacità di resistere alle intemperie dei mercati e del clima. La filiera – detto in altri termini –, è sempre più resiliente. Ma questa dote non basta. Anche le imprese agricole e agroalimentari hanno sofferto delle restrizioni dovute a Covid-19. Basta pensare alle perdite miliardarie che sempre i coltivatori diretti hanno calcolato, a causa delle chiusure dei ristoranti e del blocco dei flussi turistici. Coesione di filiera, progetti concreti ed incisivi che puntino alla razionalizzazione delle produzioni e ad una maggiore cooperazione, paiono essere le indicazioni più sagge da perseguire. Insieme al lavoro, complesso e non facile, per migliorare le infrastrutture e promuovere ancora di più il nostro buon agroalimentare.