Un taglio del giro d'affari di circa 1,5 miliardi, scarsi segnali di ripresa per quest'anno ma una gran voglia di non darsi per vinti. Il comparto italiano dei vini e degli spiriti fa i conti con gli effetti di Covid-19 e prepara quella che, almeno nelle intenzioni, dovrà essere la riscossa. I numeri parlano da soli. Stando a Federvini la pandemia ha effetti drammatici sul settore. A causa delle chiusure imposte agli esercizi Horeca (ristoranti, alberghi e bar) e all'andamento delle esportazioni, nel 2020, rispetto al 2019, le vendite di spiriti e vini hanno avuto un tracollo e questo andamento è stato compensato in misura minima dalle vendite attraverso altri canali; mentre le attuali previsioni per il 2021 mostrano segnali di ripresa timidi. Situazione delicata per un comparto che significa oltre un milione di addetti e circa il 2% del Pil italiano. Situazione che, tra l'altro, sa anche di beffa del destino, visto che nel 2019, e cioè poco prima dell'esplosione della pandemia, l'Italia è stata, secondo i dati della Fondazione Edison, il primo produttore mondiale di vino e il secondo esportatore di vini e mosti. Quello dei vini e degli spiriti è però «un patrimonio inestimabile – viene spiegato da Federvini –, che supera la dimensione strettamente economico-produttiva e che richiede di essere tutelato e rilanciato». Da qui una serie di richieste e proposte che Federvini ha già fatto avere alle istituzioni e al governo. Ad iniziare dalla richiesta di riaprire, in sicurezza, tutti gli esercizi possibili, ma anche di poter usufruire di semplificazioni e di una fiscalità adeguata all'emergenza. Il comparto, poi, chiede sostegni alle esportazioni. Un passaggio delicato, questo, perché, viene spiegato, «il sostegno si deve tradurre sempre più nella difesa degli spazi commerciali, insidiati da tendenze proibizionistiche o da barriere normative che in realtà sono grandi ostacoli alla libera concorrenza». Ma non solo, perché, al di là del «bere responsabile», Federvini insiste sul tema delle infrastrutture. «È inutile – viene spiegato –, chiedere alle imprese adeguati sistemi di e-commerce e di sfruttare i social network se poi in larghe aree delle nostre campagne la banda larga è assente o al più appena sufficiente a inviare una semplice email». Il destino di uno dei settori più preziosi per l'agroalimentare nazionale, passa così per un insieme complesso di strumenti non facile di cui si sente una necessità sempre più forte.