Carlo Alianello (1901-1981) è stato un autore di successo. Il romanzo L'alfiere, pubblicato da Einaudi nel 1943, fu più volte ristampato e raggiunse definitivamente la popolarità quando il regista Anton Giulio Majano ne trasse uno sceneggiato Rai. Lo stesso Majano sceneggiò (1980) L'eredità della priora (Feltrinelli 1963, Premio Campiello selezione), ed entrambi i teleromanzi (come allora si diceva), furono supervisionati da Alianello stesso. Il mago deluso (1947) vinse il Bagutta; a I soldati del re (Mondadori, 1952) fu assegnato il Valdagno-Marzotto; seguirono Maria e i suoi fratelli (1955), Nascita di Eva (1966), l'autobiografico Lo scrittore e la solitudine (1970), L'inghippo (1972) e, nello stesso anno, il saggio La conquista del Sud. Apprezzato professore di liceo, Alianello concluse la carriera come ispettore centrale del Ministero della Pubblica Istruzione. Benché nato a Roma, fu sempre legato alle origini lucane, e alla biblioteca di Tito (Potenza) la famiglia (ebbe sette figli) donò i suoi archivi e alcuni cimeli personali, custoditi nel Fondo Carlo Alianello, coordinato da Gennaro Grimolizzi. Con il sostegno della Regione Basilicata è stato pubblicato da Il Cerchio un primo volume di inediti, Novelle borboniche (2020), e la ristampa del Mago deluso (2021), con un'Introduzione di Franco Cardini che colloca «il bizzarro romanzo giallo-nero» nella temperie culturale in cui fu scritto, rispetto alla quale Alianello figurò intenzionalmente politically incorrect. Purtroppo, la ristampa è funestata da troppi errori tipografici che innervosiscono il lettore alle prese con un romanzo che esce dalle tematiche meridionalistiche e mescola amori proibiti, bigottismo e colpi di scena in una trama poco convincente e confusa. Più interessanti, e meglio stampate, le Novelle borboniche, anche se non tutte sono borboniche. Tra le pagine meglio riuscite, infatti, vi è una ricostruzione del soggiorno di Lord Byron a Venezia, conteso dalle amanti e teneramente affezionato alla figlioletta illegittima, Allegra, che muore a quattro anni. C'è anche un ritratto quasi cordiale di Garibaldi, un episodio della battaglia di Custoza, la fuga di Pio IX da Roma e, sempre, lo struggimento d'amore per la terra lucana. Sia chiaro: Alianello non è un nostalgico dei Borboni. Nella sua narrativa c'è l'impegno di dare la parola i "vinti", di far luce sulle ombre della leggenda risorgimentale. Un saggio che gli chiesi per il Centenario di Roma capitale ("Studi cattolici" aprile/maggio 1970) così concludeva: «Oggi che sono passati cento anni dal giorno fatidico nel quale Roma tornò all'Italia, ma non già l'Italia a Roma, ritroviamoci insieme, cattolici o no, a riconoscere sinceramente che così doveva essere, e non altrimenti. Perciò diciamo stringendoci le mani, senza inni né clamori, ma anche senza bestemmie e sogghigni, chi crede e chi no, Viva l'Italia! Ma non gioverebbe gran cosa aver dimenticato, seppure è obbligo nostro perdonare sempre».