Luciano di Samosata (ca.125 – ca.180) è un retore di origine siriaca ma di cultura greca, che ricoprì importanti incarichi politici e amministrativi, anche presso l'imperatore Lucio Vero. È autore di celebri Dialoghi – ai quali s'ispirò Giacomo Leopardi per le Operette morali – e di scritti satirici che lo resero famoso, come Alessandro o il falso profeta, che Aragno pubblica col titolo L'impostura, a cura di Claudio Piga e Giancarlo Rossi (pp. 120, euro 12).Questo Alessandro, che Luciano conobbe di persona, era un ciarlatano che costruì un oracolo ad Abonutìco, in Paflagonia, regione dell'Anatolia centro-settentrionale. Aveva parecchi complici che assecondavano i suoi trucchi, per esempio aiutandolo a dissigillare e risigillare i cartigli con le domande che i fedeli rivolgevano all'oracolo, per consentire al veggente di predisporre le risposte. Alessandro si riteneva reincarnazione di Esculapio e, siccome era tradizione che Pitagora avesse una coscia dorata che mostrava solo agli iniziati, l'impostore durante le processioni da lui stesso officiate lasciava intravvedere una coscia probabilmente ricoperta di pelle dorata.Sua vittima illustre fu Rutiliano, funzionario imperiale superstiziosissimo che, già sessantenne, addirittura sposò la figlia del ciarlatano, avendo ricevuto questo responso: «Togli pure la figliuola d'Alessandro e della Luna». Il furbastro, infatti, aveva fatto credere che sua figlia fosse nata dalla Luna, essendo la dea «perduta d'amore per lui, avendolo veduto una volta dormire, come ella suole innamorarsi di tutti i bei garzoni che dormono», com'era accaduto con Endimione.La lingua della citazione è arcaizzante perché i curatori hanno preferito utilizzare la traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1813-1877), il patriota che si applicò a tradurre Luciano mentre era in carcere sull'isola di Santo Stefano (vi rimase dal 1851 al 1859), dopo la restaurazione borbonica.Tramite l'ingenuo Rutiliano, Alessandro fece arrivare un oracolo anche a Marco Aurelio che era alle prese con i Quadi e i Marcomanni: esortava a gettare nell'Istro (Danubio) due leoni vivi con molti aromi e magnifici sacrifici, e la vittoria non sarebbe mancata. Ma, «fatta ogni cosa come egli aveva ordinato, i leoni nuotando uscirono all'altra riva, dove i barbari con bastoni li acopparono credendoli nuovi lupi: ma indi a poco i nostri toccarono una grande rotta, in cui morirono intorno a ventimila». Alessandro si difese come aveva fatto l'oracolo di Delfo con Creso in guerra coi Persiani: aveva sì predetto la vittoria, ma non aveva specificato se dei Romani o dei barbari.Luciano smascherò Alessandro in più occasioni, e addirittura gli morsicò – sacrilegio gravissimo – la mano che gli aveva teso da baciare. In seguito il mago ritenne di ingraziarselo con regali e favori e addirittura, quando Luciano dovette imbarcarsi per raggiungere la famiglia ad Amastri, gli mise a disposizione una nave con una scorta armata. Durante il viaggio, però, il capitano non se la sentì di eseguire l'ordine di Alessandro di gettare in mare Luciano, e lo face sbarcare a Egialo.Ben si comprende, dunque, come Luciano avesse il dente avvelenato contro Alessandro, tanto da scrivere questo libello che è dedicato a un Celso che forse non è il filosofo che scrisse Il discorso della verità. Contro i cristiani. Anticristiano era certamente Alessandro, che prima dei suoi riti gridava: «Fuori i cristiani e gli epicurei». La razionalità di Epicuro, infatti, era un'implicita accusa alla ciarlataneria di Alessandro, e Luciano scrisse il libello anche «per vendicare Epicuro, divino sacerdote della verità, della quale egli solo ha conosciuta e rivelata la bellezza». E concluse: «Penso che anche ai leggitori questo libro parrà buono a qualche cosa, perché e smaschera un'impostura, e conferma le opinioni degli uomini di senno». Un po' di razionalità non guasta mai.