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ALABAMA MONROEUn film a tesi sul dolore dove la fede è un pretesto

Autori Vari venerdì 9 maggio 2014
Quando la ferita è fresca, quando sono scarsi i rimedi dell'anima, quando anche lo scorrere del tempo non dà il sollievo sperato, è arduo lenire il dolore, ragione e fede possono vacillare. Elise e Didier, i protagonisti di Alabama Monroe. Una storia d'amore– giunto sugli schermi italiani dopo aver racimolato una serie di premi, una candidatura all'Oscar come miglior film straniero (viene dal Belgio, regia di Felix Van Groeningen) e una consistente antologia di recensioni entusiastiche – adottano rimedi che ne dimostrano tutta la fragilità. Lui, interpretato da JohanHeldenbergh (anche autore del testo teatrale da cui il film è tratto), è un appassionato musicista di bluegrass. Altro non fa se non vivacchiare e innamorarsi di Elise (Veerle Baetens) che tenta di fare dei tatuaggi un'arte, sparpagliandoli sul suo corpo. Sono due sbandati, iniziano a vivere insieme, la passione li travolge e mettono al mondo Maybelle, che a sei anni va incontro alla morte per un tumore al midollo spinale. Melodramma tragico che mette in questione l'irrazionalità della sofferenza – acuta quando investe i più piccoli e qui mostrata con ogni eccesso – seguendo il declinare delle certezze e della gioia per chi nel lutto arranca. Ma Alabama Monroe (i nomi che assumono i due genitori, volendo tranciare del tutto col passato) è un film spudoratamente ricattatorio. Dovrebbe, nel suo procedere per frammenti temporali tra presente e passato, motivare le reazioni irrazionali dei due adulti al cospetto della perdita: lei facendo del cristianesimo una liberatoria superstizione (mette in mano alla bimba sofferente un crocifisso perché la aiuti a pensare a cose belle), lui liberandosi da tutta l'acredine che ha nutrito negli anni contro ogni forma di religiosità e di vincolo etico. I loro eccessi sono però attraversati da rivoli di fastidiosa falsità e di urlate derive razionalistiche che accusano Dio di sadismo e assassinio. In altre mani meno apologetiche sarebbero potute diventare delle importanti riflessioni sulla natura del male, la sofferenza umana, il rapporto con la trascendenza. Mentre qui diventa del tutto plausibile anche l'esaltazione finale dell'eutanasia: forse gli autori si aspetterebbero lacrime, mentre da una platea matura dovrebbe sgorgare lo sdegno contro il conformismo e il diffondersi di una morale opaca e strumentale.Luca Pellegrini