Gloria Valcanover aveva 22 anni, fresca di laurea in tecnologia alimentare. Abitava a Bosentino, frazione dell'Altopiano della Vigolana, in Trentino, dove l'agricoltura si può dire eroica. Stava raccogliendo le ciliegie, era sul trattore di papà Tullio, un gigante buono reduce da un incidente pochi giorni prima, quando è caduto da una scala mentre metteva le reti antigrandine. È morta sul colpo, dopo che il trattore che stava guidando ha ceduto sul terreno ed è finito in un scarpata con un volo di 15 metri. Conoscevo bene questa ragazza con il sorriso: accompagnava il padre alle fiere, si divertiva a vedere la gente che apprezzava i suoi succhi di frutta o la polenta della Valsugana. Chi si avvicinava al suo stand raccoglieva qualcosa più di un prodotto: aveva il racconto, il senso di soddisfazione che si incontravano fra un produttore e un consumatore. E questa è la cronaca di una tragedia che vista con gli occhi della fede fa pensare proprio che Dio chiama con sé i migliori per un disegno che non conosciamo, se non che ogni morte è per la vita. La stessa domanda di un anno fa, quando ad Asti, la figlia di una coppia di ristoratori, Maria Luisa Fassi detta Migia, è stata uccisa con 44 coltellate nella sua tabaccheria da un folle condannato ieri l'altro a 30 anni. Chi sono state Gloria e Migia? Sentinelle di un territorio, cadute in un giorno d'estate mentre la gente pensa al mare. Sui giornali si legge con insistenza di studi che parlano di ritorno alla campagna, della scelta di molti giovani, ma non solo, di abitare il paese, la periferia, la provincia. Ma la sicurezza diventa un'insidia, un problema. Per anni si è parlato del ruolo multifunzionale dell'agricoltura, del fatto che la sola presenza dell'uomo permette a un territorio di restare vivo. Ma nessun riconoscimento viene dato a questa funzione non solo occupazionale, ma anche sociale. Gloria era una di quelle giovani sentinelle, che - bisogna dirlo - faceva un lavoro che non è solo poesia: è sacrificio, abnegazione e perfino pericolo. L'agricoltura italiana di oggi è una risorsa, comunque vada l'economia, riconosciuta solo quando si consuma una tragedia, mentre la montagna si spopola e si impoverisce di servizi. Un paradosso di domanda e offerta, dove in mezzo c'è mortificazione anziché incoraggiamento. Non c'è colpa davanti a queste tragedie, ma è certo una colpa non considerare il valore di un'attività che non si può misurare solo col metro del reddito. Quella vita bellissima ci interroga, quel mestiere che ogni giorno modella un territorio secondo un suo naturale equilibrio merita di più. In attenzione e in considerazione. L'eterno dilemma fra centro e periferia non smette di interrogarci. Che periferia vogliamo? Che riconoscimento dare a un mestiere specchio dell'Italia?