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Agricoltura Usa prima al mondo

Andrea Zaghi sabato 23 febbraio 2008
Se c'era qualche dubbio, adesso è ora di dissiparlo: l'agricoltura americana continua a essere la più forte del mondo. A dirlo sono semplicemente i numeri. Certo, si tratta di una forza economica, non sicuramente qualitativa; ma, purtroppo, nel grande gioco del commercio mondiale, il braccio di ferro fra qualità e quantità sembra continuare ad avere un solo vincitore.
Si tratta di una situazione che deve essere analizzata con cura e attenzione. Soprattutto perché coinvolge pesantemente anche la nostra agricoltura, quella, appunto, di maggiore qualità ma con alle spalle problemi strutturali e di mercato ancora irrisolti.
A fornire la fotografia più aggiornata del recente passato e del prossimo futuro delle prestazioni economiche di cui i farmers sono capaci, ci ha pensato il Dipartimento di Stato USA dell'Agricoltura che qualche giorno fa ha rivisto al rialzo le previsioni sul valore delle esportazioni del settore. Queste, alla fine dell'anno potrebbero raggiungere la bella cifra di 101 miliardi di dollari: oltre 10 miliardi in più rispetto alla previsione di novembre e 19 miliardi in più rispetto al 2007. E non basta, perché le previsioni 2008 confermano la costante crescita delle esportazioni dal 2004. A crescere, ovviamente, le grandi colture come quelle cerealicole e quindi il grano e le farine, ma anche la soia.
Sulla base delle attuali condizioni del mercato, ha spiegato il Dipartimento, la grande quantità di cereali, olio di semi e l'export di cotone, dovrebbero aumentare di 13,2 miliardi di dollari e spiegare il 70% dell'aumento complessivo in valore dell'export per il 2008. E a crescere sarebbero anche i volumi con le farine in grado di arrivare a 70 milioni di tonnellate complessive. Ma non basta, perché gli Usa stanno esplodendo anche per quanto riguarda l'ortofrutta, le noci, le carni di maiale, quelle di manzo, le carni avicole. Solamente per gli ortofrutticoli e le carne si parla già di esportazioni in aumento di 3,5 miliardi di dollari.
La conclusione è semplice. Considerando che le importazioni saranno di circa 76,5 miliardi di dollari, la previsione è di un saldo attivo nella bilancia commerciale di 24,5 miliardi. Alla base di questa situazione il dollaro debole oltre che la diminuzione delle riserve delle altre grandi aree di produzione talmente forte da far presagire un ulteriore incremento della domanda di cereali Usa. Una situazione difficile dunque, alla quale non è possibile pensare di rispondere in termini quantitativi ma qualitativi. Insomma, se il granaio dell'Europa probabilmente rimarrà sempre la Francia, quello del mondo irrimediabilmente sarà sempre e soprattutto nelle pianura degli Usa.
Basterà però la qualità a salvare l'agricoltura europea? Difficile rispondere con totale sicurezza, ma probabilmente sì. A patto che questa qualità sia davvero difesa e valorizzata. A patto che l'Europa faccia valere pienamente i suoi diritti nel grande scacchiere del commercio internazionale.