Se l'Italia nel 2005 non è economicamente cresciuta, l'agricoltura ha addirittura perso terreno, in termini economici s'intende, oltre che probabilmente anche fisici. Si tratta di una situazione complicata e pesante, alla quale si aggiungono vicende poste alla ribalta delle cronache ' come quella dei polli e, prima, delle crisi dello zucchero oppure dell'uva ', oppure altre meno conosciute ma ugualmente importanti come la perdita di giovani agricoltori che il comparto ha subito nonostante gli incentivi. Sembrerebbe proprio di dover dire che così non va, non può funzionare. Anche tenendo conto delle decine di milioni di euro di valore rappresentati dai prodotti tipici e dal buon Made in Italy agroalimentare. Evidentemente serve anche dell'altro. Serve probabilmente un discorso più ampio di modernizzazione del comparto che tarda a venire. Occorre probabilmente mettere mano sul serio a quella «rigenerazione agricola» che la Coldiretti propone ormai da tempo e che ha come obiettivo finale quello di inserire veramente l'agricoltura nell'ambito dell'intera politica economica. Perché tutto sommato ha ragione chi dice che investire sulle potenzialità del Made in Italy, significa avviare un motore fondamentale e prezioso per un nuovo modello di sviluppo dell'economia italiana. Ma occorre iniziare. Così come è doveroso cominciare a sganciare i ragionamenti sull'agricoltura dalle cosiddette «conventicole di categoria», ancorate a visioni corporativistiche e consociative. Soprattutto tenendo conto che esiste una entità chiamata Tavolo agroalimentare con tutti i soggetti della filiera in campo che potrebbe funzionare molto di più.Intanto però, a parlare sono i numeri. I dati agricoli del 2005 ' diffusi dalla Cia ' delineano una situazione di crisi «strutturale». Tutti i segni sono negativi: calano produzione (-3,3% rispetto al 2004), valore aggiunto (-2,2%), redditi (-10,4%) e prezzi praticati sui campi (-4,4%). In crescita, invece, i costi di produzione (+1,6%) e gli oneri contributivi e previdenziali. Una medesima serie di risultati, viene fatto notare, si è ripetuta negli ultimi cinque anni, escluso il 2004 quando il valore aggiunto registrò una sorprendente crescita del 13,7%. Alla base di questo vero e proprio disastro, sono naturalmente molte cause. A partire dalle emergenze sanitarie per arrivare a quelle climatiche e di mercato conseguenti. Contrazione dei consumi e innalzamento del livello della concorrenza hanno fatto il resto. C'è poi chi, come i giovani della Confagricoltura, si chiede se davvero sia così impossibile «innovare l'agricoltura» a partire ovviamente dalla presenza di nuovi imprenditori. Da questo punto di vista, ancora una volta i dati parlano chiaro. In Italia il 62,2% degli agricoltori ha più di 55 anni, mentre in Francia il 62,3% ha meno di 55 anni. E negli ultimi dieci anni sono usciti dal settore 41.000 giovani. Ogni italiano ha a disposizione solo l'equivalente di un terzo di un campo da calcio di superficie agricola, che si riduce di dieci metri ogni anno