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Agricoltura, calano i margini

Vittorio Spinelli sabato 18 marzo 2006
L'agricoltura contiene l'inflazione, ma gli agricoltori vedono sempre di più diminuire i loro margini. Si tratta di una situazione non nuova che, tuttavia, potrebbe in qualche modo mutare, almeno parzialmente, se vi fosse più coesione di filiera e meno speculazioni lungo i diversi passaggi di essa. Anche perché gli esempi, positivi, non mancano. La situazione del commercio dei prodotti agroalimentari emerge subito chiara dagli ultimi dati forniti dall'Istat circa l'inflazione. Coldiretti, per esempio, fa notare che il prezzo all'origine pagato agli imprenditori agricoli per la verdura è calato del 20% rispetto allo scorso anno, mentre quello della frutta è diminuito del 10%. In febbraio, l'indice dei prezzi agricoli ha assunto un segno negativo. Anzi, secondo il sindacato dei coltivatori «le imprese agricole e i consumatori subiscono l'impatto devastante delle strozzature di filiera su cui si inserisce un sistema di distribuzione gonfiato ed alterato da insopportabili bolle speculative». Parole pesanti che vanno di pari passo con le preoccupazioni espresse da Confagricoltura e da Cia. La prima organizzazione agricola fa notare che, a conti fatti, da una parte il settore fa da freno all'inflazione ma, dall'altra, i campi hanno dovuto registrare un ribasso medio di circa il 3% dei prezzi su base annua. Mentre la Cia insiste sulla crescita dei costi di produzione, in particolare quelli dei carburanti, oltre al costo del lavoro, ai contributi previdenziali, al credito bancario. A tutto ciò si aggiungerebbe la stagnazione dei consumi. Il risultato? Per la Confederazione degli agricoltori nel 2005 i redditi sono stati «tagliati» del 10,4%. In altre parole il valore aggiunto prodotto dagli agricoltori non viene riconosciuto agli agricoltori stessi. Accordi di filiera, potenziamento delle organizzazioni dei produttori, difesa dei marchi di produzione, valorizzazione dei singoli prodotti e dei loro territori sembrano continuare ad essere gli strumenti a disposizione per tentare di risollevare la situazione. Ma c'è anche dell'altro. Da poco tempo, infatti, le grandi catene della
distribuzione moderna sono obbligate ad ospitare, per una certa quota della loro superficie espositiva, prodotti agricoli locali. In questo senso, per esempio, va l'accordo raggiunto ieri fra il ministero delle Politiche Agricole e la catena Auchan-Sma, insieme all'Unaproa (Unione nazionale associazioni produttori ortofrutticoli). L'intesa, che apre la strada ad altri accordi tra distributori e produttori in altri settori dell'agroalimentare, è - come si è detto - la prima applicazione concreta del decreto legislativo 102 del maggio 2005, che prevede l'impegno dei distributori nell'acquisire volumi di merce ben definiti ogni anno. Questo garantisce ai produttori una programmazione più razionale e ai consumatori una migliore stabilizzazione dei prezzi. Basterà questo per risollevare le sorti dell'agroalimentare? Probabilmente no, ma un passo in avanti forse è stato fatto.