Nella Loda in Rossi è riuscita a compiere 90 anni lo scorso 6 maggio, poi, al calar della sera, il Signore l’ha chiamata a sé, circondata dai suoi 5 figli e dai 9 nipoti. È mia suocera, mamma di mia moglie Silvana: si sposò appena maggiorenne con Carlo Rossi, in una Milano che ovunque mostrava le ferite di una guerra, benché lei ricordasse la felicità di quei giorni quando si ballava in strada. E Carlo portava al mercato, col cavallo, i meloni charentais, detti i “Cantalupo francesi”, che coltivava intorno alla Certosa di Garegnano, dove un tempo cresceva il grano coi papaveri rossi e quelle fragole che a Milano chiamano “magiuster” evocando maggio e il rispetto della stagionalità. In un momento di confidenze mia moglie m’ha fatto riflettere che questa donna, per tutta la sua vita, ha fatto la casalinga, senza mai un cenno di recriminazione, ma sempre con gioia. Per dire ai figli e ai nipoti che la vita vale se è continuamente donata nell’amore. Cresciuta nella povertà, come tanti, aveva la generosità nel cuore e la sua casa ospitava chiunque avesse bisogno. Sempre pronta a cucinare piatti buonissimi, aprendo il frigo e ingegnandosi con quello che c’era. E io, che ho recensito fra i primi Cracco e Cannavacciuolo, non ho mai avuto nulla da eccepire, anzi: sognavo il suo risotto giallo che aveva raggiunto una perfezione: in cottura e in sapore. Ora, anch’io come tanti sono rimasto basito quando ho letto che un’altra Rossi, Benedetta, è stata attaccata per le sue ricette popolari, che l’hanno portata al successo. Benedetta Rossi è marchigiana e la sua spontaneità l’ha portata ad avere un seguito straordinario, a scrivere libri. Insegna la stessa cucina di Nella, quella del non spreco, del recupero degli avanzi che ha radici nella buona economia domestica. Lei parla a chi magari non ha avuto la fortuna di avere una Nella in casa, ma oggi si trova a dover fare i conti (che non tornano) con la terza settimana. Ma questi “gastrosciocchi” che l’hanno attaccata saranno capaci di improvvisare una cena per il vicino di casa che magari ha fame? Oppure si volteranno dall’altra parte, pensando che la cucina sia solo quella gourmet, di cui si pavoneggiano il giorno dopo in ufficio? Questi attacchi gratuiti m’hanno ferito, anche perché non esiste una cucina di serie A e una di serie B. Esiste il gusto: che è per ricchi e per poveri. Per questo bisognerebbe tornare a insegnare l’economia domestica fin dalle scuole elementari: ne hanno bisogno i giovani, ma anche chi, avendo in spregio la povertà, avrebbe un serio motivo per vergognarsi.
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