E fanno nove. Sono le puntate di “Amico fragile”, l’indagine di Elena Stancanelli sulla “Stampa” sul disagio giovanile, una sorta di pellegrinaggio tra luoghi e professionisti che in Italia se ne prendono cura. In tutto, diciotto pagine di quotidiano (e non è finita), che su Press Party abbiamo seguito passo dopo passo. Ieri (17/7) la tappa all’associazione “Il fiore nel deserto”, fondata dalla psicologa Vittoria “Vicky” Quandamatteo è stata la più dura, aspra e dolorosa, tra ragazze che fin dalla più tenera età hanno subito il peggio inimmaginabile: «Ragazze usate, maltrattate, trattate come schiave. Ragazze alle quali non abbiamo risparmiato niente». Poi, stesso giorno (17/7) ma su un quotidiano d’orientamento opposto, la “Verità”, i più giovani compaiono in una pagina di Maddalena Loy, titolo: «In Italia un adolescente su dieci usa gli psicofarmaci per sballare». Loy prende le mosse da una ricerca del Cnr e intervista lo psicoanalista Emilio Mordini, le cui affermazioni, e la cui impostazione, difficilmente troveranno d’accordo tutti i colleghi interpellati da Stancanelli. Eppure è una provocazione fondata e utile. Premessa di Mordini: «Chi ritiene che l’uso di psicofarmaci sia un indicatore di salute mentale della popolazione giovanile fa un’operazione grossolanamente scorretta dal punto di vista scientifico».
Molto spesso, sostiene Mordini, gli adolescenti ne fanno un uso ricreativo: «Su TikTok le ragazzine recensiscono Xanax o Serenase con lo stesso spirito con cui parlerebbero di uno Château d’Yquem», insomma le pasticche come un vino francese. Niente disagio giovanile, dunque? Non esattamente: «Viviamo in una società di cagnetti randagi. Anche se ufficialmente hanno una famiglia e una casa, i giovani oggi sono cuccioli abbandonati, nessuno si prende cura di loro in termini affettivi». E gli psicofarmaci? I ragazzi li assumono «per essere più performanti e migliorare le loro capacità di consumare i “godimenti”: ballare, divertirsi, flirtare». Vale la pena concludere con le parole finali di Stancanelli: «Passare una giornata in un posto come questo fa pensare a quel lavoro idiota che è l’esistenza: qualcuno tesse, qualcun altro stesse. Qualcuno fa del male, qualcun altro cura. Qualcuno scuce, qualcun altro cuce insieme, produce reti, relazioni, comunità».
© riproduzione riservata