XXIX Domenica del Tempo ordinario - Anno B
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Chissà come si immaginavano il regno del Maestro quei due fratelli, chissà quanto tempo avranno passato a fantasticare sulla bellezza di quei troni, figurandosi bardati di mantelli e corone, con in mano un qualche scettro simbolo di potere. Quanto si saranno gasati nell’immaginarsi così importanti, uno a destra e l’altro a sinistra, a giudicare, a far paura, a rimproverare e punire.
Ma cosa avevano capito fino ad allora? Ma cosa abbiamo capito noi che ancora oggi dopo duemila anni di Vangelo sgomitiamo per un posto in evidenza, per un pugno di potere da esercitare in famiglia, in politica, nelle chiese, nelle associazioni?
Eppure poco prima Gesù lo aveva già detto; abbracciando un bambino aveva dimostrato, come un teorema, quanto la misura di Dio è la piccolezza, la fragilità, la povertà, il nulla pretendere: l’amore disarmato. Che fatica accettare un Dio così rivoluzionario che sovverte gli schemi, che ribalta le certezze; che fatica anche solo pensare a un Dio che non vuole comandare e spaventare, dominare e soggiogare, ma chino su di noi, a farsi nido entro cui scaldarci, riparo dove riposare, braccia tra le quali addormentarsi. E daccapo Gesù a spiegare, pazientemente, come un maestro con dei bambini un po’ lenti all’apprendimento, dolcemente, come un genitore che sa che il figlio non è proprio una cima d’intelligenza: «Voi sapete…tra voi però chi vuole diventare grande sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo sarà schiavo di tutti».
Dove l’ha imparata questa matematica il Maestro? In quale accademia di filosofia ha appreso la logica secondo la quale gli ultimi sono i primi e viceversa e che gli schiavi valgono più dei dominatori?
Questa non è logica umana, questa è follia di Dio che non viene a spadroneggiare, a giudicare, a farci sentire inadeguati e incapaci. Non
schiaccia, ma solleva il Padre buono, non mortifica ma avvolge di tenerezza, tanta tenerezza da morirne.
Quel Dio che «rovescia i potenti dai troni e che innalza gli umili, che ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote» è qui per noi, aspetta solo un cenno. Per servirci. E chissà che sorpresa sarà stata per Giacomo e Giovanni entrare nel regno e trovare troni scuciti e rattoppati, occupati da ladroni e prostitute: chissà che festa!
(Letture: Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45)
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