Aborto, così si svalutano coscienza e dialogo serio
Sulla “Repubblica” (26/7) Michela Murgia comincia dalla coscienza. Sempre che esista, quella degli obiettori per lei va svalutata a prescindere. Sullo sfondo il caso del Molise, dove abortire in ospedale è oggettivamente arduo: «La vera dittatura sanitaria viaggia sotto il nome di obiezione di coscienza, viene agita da decenni in tutte le strutture sanitarie e benché metta a rischio il diritto alla salute psicofisica di oltre la metà della popolazione, non fa alcun rumore». Si insinua che tutte, ma proprio tutte, le donne vogliano abortire. La parola “aborto” peraltro non viene mai nominata, nella neo-lingua si chiama “non generare”: «Nel nostro sistema ci sono infatti due diritti confliggenti: quello di decidere di non generare e l'altro, quello di sottrarsi a uno specifico compito medico regolato dalla legge», la stessa legge – la 194 del 1978 – che però consente (giustamente) l'obiezione. Ma il massimo viene raggiunto poco dopo, parlando del calo delle nascite: «La soluzione al problema della natalità nazionale per molti sarebbe evidentemente quello di obbligare le donne a riprodursi anche quando non vogliono, trattandole come fattrici di stato, gravide obtorto collo per procura nazionale». E chi caspita sarebbero questi “molti” che mirano a “obbligare” le donne a “riprodursi” divenendo “fattrici di stato”, come in un romanzo distopico delirante?
Quale contributo costruttivo derivi da un simile intervento resta un mistero, perché giunti alla fine rimane soltanto l'asprezza dei concetti espressi. Una simile realtà – esagerata, esasperata e distorta – finisce inesorabilmente per assumere tinte da romanzo dell'orrore. Il fatto che una “tirata” di questo tipo e con questi toni sia ospitata su uno dei grandi quotidiani nazionali non la rende di certo meno sconcertante, semmai di più.