Al Senato un disegno di legge (n. 354) propone un Consiglio superiore della lingua italiana (Csil) che tuteli la nostra lingua dai molti rischi che corre (anche quello di avere un ministro dell'Istruzione che pronuncia "egìda", scrive Tullio De Mauro, su l'Unità, mercoledì 6). Se si esclude la Lega, che preferisce un inesistente dialetto padano (quelli parlati appartengono ad almeno 47 diverse categorie), più o meno tutti li sosterrebbero. L'Unità li ha già sposati, perché finalmente «la politica si interessa alla lingua» (martedì 5). Il problema, infatti, esiste, ma non è quello di salvare il congiuntivo, ormai specie a rischio di estinzione, e di difendere il "tu" dall'orribile "te" (anche di giornalisti e conduttori Rai) o il bell'italiano dall'invasione dell'inglese e dei suoi bastardi neologismi o dal diffondersi del burocratese (esempio: non deambulante), dell'ipocritese (diversamente abile, agente ecologico invece di spazzino) o del politichese (la non sfiducia). Urge, piuttosto, fermare l'uso barbarico dell'Antilingua, il lessico fatto di parole dette per non dire quello che si ha paura di dire e che, come affermava Giovanni Paolo II nell'"Evangelium vitae", «rende sempre più difficile cogliere con chiarezza il senso dell'uomo», perché da tempo ormai si tende a «coprire alcuni delitti contro la vita nascente o terminale con locuzioni di tipo sanitario che distolgono lo sguardo dal fatto che è in gioco l'esistenza di una concreta persona umana». Per esempio: interruzione volontaria di gravidanza, contraccettivo di emergenza, prodotto del concepimento, eutanasia, ominazione (il processo che porterebbe il concepito a diventare un essere umano), fecondazione eterologa (in realtà adulterina), embrioni soprannumerari (per non dire scartati o rifiutati), eterosessuale (invece di normali o normosessuali onde mettere l'anormalità sullo stesso piano della normalità), orientamento sessuale o gender per indicare il genere non di nascita, ma di scelta e via così: una «terminologia ambigua che tende a nascondere la vera natura [di certi gesti] e ad attenuarne la gravità nell'opinione pubblica», ma che è segno «di un disagio delle coscienze» e di «quella profonda crisi della cultura che ingenera scetticismo sui fondamenti stessi del sapere e dell'etica» (EV 11 e 58).
FARINA DI STELLE
Ricordate, su Il Giornale di mercoledì 30, la sparata di una firma "autorevole" contro chi, «usando il nome cattolico, si batte» per l'eliminazione degli oroscopi dai programmi Rai? «L'oroscopo è una faccenda poco seria», scriveva, ma criticarlo «è persino meno serio e meno educativo» dei programmi di astrologia. Tre giorni dopo (sabato 2) un'altra firma, tanto arrabbiata da usare parolacce diseducative, si scagliava contro «il Paese dei furbi gabbati dall'oroscopo. Non se ne può più di questi milioni di veggenti che non valgono un tubo...». In tre soli giorni la farina del diavolo era già andata in crusca.
NON SOLO MEDICINA
Il senatore Ignazio Marino chiede: «Via la politica dalla medicina» (L'Espresso, 7 gennaio), la si lasci ai medici; e cita come deplorevoli casi le leggi sulla fecondazione artificiale e sulla fine della vita e il caso della Ru 486. Marino ha della medicina una visione esclusivista e possessiva, ma in medicina esistono scelte e competenze diverse, che esigono anche criteri diversi che essa non possiede né può ignorare. Purtroppo la stessa osservazione vale anche per la politica...