A Taiwan i ragazzi... giocano ancora
veri, titani di acciaio con vertiginose antenne su cui oscillano i radar, e, dentro, centinaia di uomini: ragazzi, spesso, Marines, e cinesi di vent’anni chiusi dentro a quelle spaventevoli corazze. Non è successo. La scia spumeggiante sull’acqua della nave cinese si allontana. In una collisione sarebbe stata distrutta. Chissà, a bordo, i cuori dei manovratori, nel locale macchine, i cuori dei mozzi appena imbarcati, magari reclutati da remote regioni interne, mai visto il mare prima d’ora. Chissà l’accelerare di quei cuori nei petti, sotto l’uniforme. Avranno pensato, come accade in certi istanti, alla madre? Quante madri lontane e in apprensione, dietro a centinaia di ragazzi a bordo di quelle navi, l’altro giorno, nello Stretto di Taiwan. Un incidente così potrebbe rischiare di essere una scintilla. (Gli Usa entrarono nella Prima Guerra Mondiale quando i tedeschi affondarono – dopo numerose altre navi civili, come il transatlantico Lusitania e l’Atlantic - il cargo Vigilantia. Batteva bandiera americana. Morirono tutti, sul Vigilantia, il 19 marzo del 1917, colpiti da un U Boot tedesco. Il 6 aprile gli Usa scesero in guerra). E giocano, ancora. In acque lontane, dall’altra parte del mondo. Tanto lontane che noi domenica, magari in gita mare, distrattamente abbiamo sentito alla radio di un mancato incidente internazionale nello Stretto di Taiwan. Poi, finito il notiziario, dalla radio è partito Vasco Rossi. Una domenica come le altre. Si sta come sul ponte del Titanic, nell’onda della musica dall’orchestra. Ignari – qui, sembra tutto come prima - oppure consapevoli e impotenti. Alcuni pregano. Pregare bisogna, ora, non solo per chi si ama, ma per tutti. Sembra un inconsistente nulla la preghiera, davanti alle tonnellate di acciaio di un cacciatorpediniere. Che tuttavia l’altro giorno all’ultimo, impercettibilmente, all’ultimo istante, ha rallentato. © riproduzione riservata