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A Sud della Libia, un confine tra cose dell'altro mondo

Mauro Armanino martedì 23 gennaio 2018
C'è lei, la sabbia, di cui siamo creature. C'è lei, la polvere, che si rifugia nelle borse, nelle scarpe e soprattutto negli occhi di coloro che poco sanno del grande Sud. C'è lei, l'acqua salata, delle lacrime e del mare che le inghiotte, come fa la notte col tramonto della civiltà che si spegne accanto al pozzo. L'ultimo, battezzato Espoir, è controllato dai militari che spiano i punti di ristoro dei viaggiatori di sabbia. I pozzi armati sono l'ultimo ritrovato nel variegato panorama del deserto. L'acqua è detenuta perché illegale. Ci siamo noi, sconosciuti fino a qualche mese fa, a Sud della Libia, e d'improvviso ricercati per interposta persona.
A Sud della Libia c'è la terra di mezzo per la s-partenza di quanti, incoscienti e pazzi e profeti, si azzardano a indossare la sabbia, la polvere e infine il mare come padrini dell'umana arroganza. Corteggiano i muri, disabitati, delle rive che si s-guardano senza vedersi. Ci sono loro – nomi, volti, storie e follie – da esportare sino agli stolti che pensano di salvarsi senza lacrime di perdono. Hanno sepolto i loro documenti per non tornare indietro.
Ci sono le bandiere degli eserciti e delle multinazionali intente all'estrazione della fecondità della terra. Ci sono strade che le carovane hanno dimenticato e quelle che i mercanti e i contrabbandieri inventano ogni notte. Si fanno prove quotidiane di occupazione coi droni armati e le piste di atterraggio per le operazioni militari. Ci sono i bambini che giocano con la vita senza contare i giorni di un calendario buttato via. Ci sono le elezioni truccate eppure confermate dagli osservatori internazionali. Ci sono i rifugiati riportati indietro dalla prigioni della Libia.
Ci sono loro, i vulnerabili scoperti dal servizio della Cnn sugli schiavi africani che tanto ha scandalizzato. Come se nessuno sapesse o fosse per pura fatalità che migliaia di persone vengano imprigionate e vendute e comprate in questo mondo umanitario che solo questo mercato attende. Arrivano i nostri coi viaggi di salvezza in aereo, e meno male che c'è il Niger, appena sotto il Sud della Libia. Dare lavoro ai soccorritori e pagare onerosi affitti per le case adibite a spazio di transito o meglio di attesa. Tra non molto si troveranno in un altro Paese.
C'è la stabilità garantita e fragile dell'assedio che il vento organizza ogni mattina. Le frontiere sono l'invenzione più spudorata della civiltà occidentale. I valli romani al confronto sono giardini recintati per passare le ferie in tranquillità. Oggi sono un grande business perché si creano, si vendono e soprattutto si difendono dai viaggiatori senza biglietto di ritorno. A Sud della Libia c'è la frontiera dell'Italia e dell'Europa che conta i secoli del passato e i giorni del futuro. La civilizzazione e la demografia vanno assieme.
Ci sono coloro che viaggiano senza sapere. Messi da parte durante i controlli della polizia e della dogana. Migranti, li chiamano, o potenziali irregolari, illegali, criminali che osano sfidare il destino e dare l'assalto al cielo. Li derubano dopo averli prima perquisiti e poi detenuti in attesa di espulsione. Cose d'altro mondo e inconcepibili solo fino a qualche anno fa. Tutto si è deciso altrove coi soldi e le politiche che hanno fabbricato la clandestinità. Cittadini si diventa, ma uomini e donne si nasce per diritto di terrena residenza.
Qui, a Sud della Libia, stiamo coi piedi per terra, anzi, nella sabbia. Vi facciamo credere di aver vinto la battaglia senza colpo ferire. Soldi, ricatti, commerci e minacce. Immaginatelo pure e venite a controllare i vostri piani di coloniale sviluppo. Avrete l'impressione che tanto, alla fine, vi ringrazieremo per le vostre elemosine. Manderete fotografi, giornalisti e ministri per tagliare il nastro di una conquista senza vincitori. Quando meno ve lo aspettate torneranno tutti, gli assetati del deserto, i perduti nella polvere e i sepolti nel mare. Verranno portando in silenzio la dignità che ci avete rubata.
Niamey, gennaio 2017