«A Pasqua poca religione sulle reti tv» Chiediamoci perché. Serve conversione
tutto non esisterebbe senza l'Ultima Cena, dall'Eucaristia nasce il
senso del dono e del servizio gratuito. A mio modesto parere, mancano le voci di profeti più o meno recenti. Silvano Ballarini Arluno (Mi) Caro Ballarini, la sua critica illumina un tema importante che incrocia il dibattito aperto da “Avvenire”, sulle pagine di Agorà, a proposito dell’incidenza della cultura cattolica nel nostro Paese. Quando dice che le tv italiane sono «in maggioranza cattolicissime» ironizza, ma nello stesso tempo dice il vero. Sta qui il paradosso di una sensibilità cristiana che è spesso più proclamata e declinata in termini identitari e sociali che vissuta in maniera complessiva, a partire dai fondamenti della fede come riconoscimento del trascendente e di una relazione con un Dio personale che ci ama e ci salva con la sua morte e risurrezione. In Francia, difficilmente vedrà un religioso sulle emittenti pubbliche, da noi sono presenze abituali e rispettate. Tutti amano e lodano Papa Francesco. L’azione solidale della Caritas è portata come esempio virtuoso. Le nostre tradizioni sono difese a partire dal presepe (anche nelle scuole, soprattutto se qualcuno lo contesta per motivi di laicità o di maggiore inclusione). Ma “Eucaristia” è una parola che davvero di rado si sente pronunciare. E nemmeno il Triduo pasquale caratterizza più la programmazione televisiva nazionale. D’altra parte, chi chiede trasmissioni religiose in senso proprio? La dittatura dell’Auditel le condannerebbe a notte fonda, come avviene con i programmi (rispettabilissimi e istruttivi) dedicati agli evangelici o all’ebraismo. Condivido il suo richiamo sull’assenza di voci profetiche, caro Ballarini, ma non riferito ai mass media. Mi pare di scarsa utilità un predicatore che sia lasciato parlare 60 secondi in un talk show e, se non risulta incisivo e polemico, nemmeno riceve la parola per un secondo giro di pareri. Serve un movimento di sensibilizzazione ed evangelizzazione dal basso, cui tutti possiamo contribuire. Certo, se avessimo credenti santi impegnati in questo compito i risultati sarebbero migliori. Ma, in primo luogo, la diffusione di una cultura cattolica che sia attraente richiede la capacità di tradurre nei media digitali e nella mentalità dei giovani i contenuti della religione, che è sempre attuale se la si rende tale. Scriveva domenica Luigino Bruni su queste colonne, in merito alla storia di Giona, che i profeti non devono andare dai “re”, bensì rivolgersi al popolo per suscitare conversione nella base. Ed è proprio quello che oggi manca a una società anestetizzata dall’intrattenimento continuo, che indebolisce la sensibilità e l’impegno verso i grandi temi della nostra epoca. O si riparte da qui, compito arduo e dagli esiti incerti ma meritevole di essere perseguito, oppure
sarà inutile lamentarsi di una tv che siamo noi stessi a plasmare con le nostre scelte e preferenze. © riproduzione riservata